14 ottobre 2015

Woman in Gold

Andiamo al Cinema

Per annientare davvero una persona non servono solo la violenza, i soprusi, intimidirla e terrorizzarla, per annientarla del tutto, devi distruggere anche la sua cultura, la sua identità, la sua memoria.
È una cosa che Hitler aveva capito bene: impossessarsi dell'arte di un popolo, significa impossessarsi e quindi distruggere la sua storia.
George Clooney ci aveva fatto a suo modo conoscere questa spesso tralasciata pagina della II Guerra Mondiale nel non del tutto riuscito Monuments Men, ora, sempre Hollywood, si occupa di una faccenda simile, anche se più personale e straordinaria.

Il protagonista di questo film è un ritratto, commissionato dal marito di Adele Bloch-Bauer a un certo Gustav Klimt: La donna in oro (titolo camuffato proprio durante la guerra per omettere che la persona ritratta altro non era che un'ebrea) o Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, è al centro di un'aspra battaglia giudiziaria.
Da una parte la legittima erede Maria Altmann, nipote di Adele, scappata dalle atrocità della guerra, da una Vienna occupata e rifugiatasi in America dove vive umilmente servendo al suo negozio di abbigliamento, dall'altra l'intero stato austriaco, chiamato in causa per appropriazione indebita non solo di quel dipinto, ma anche delle altre opere d'arte che i nazisti confiscarono, anzi, depredarono, dalla ricca casa dei Bloch-Bauer. Quadri mai restituiti, mai dichiarati come acquisiti in modo lecito.
Ora (siamo nel 1998) che un processo di restituzione si è aperto, sono in molti a chiedere le loro memorie indietro, ma Maria Altmann ha la sfrontatezza di chiedere quello che nel frattempo è diventato un simbolo dell'Austria, che riposa e viene osservato nell'Österreichische Galerie Belvedere da generazioni.
La sua battaglia è però del tutto legale, e il giovane avvocato alle prime armi Randol Schoenberg che la rappresenta, dovrà mettere tutto se stesso per battersi contro i cavilli e contro i numerosi ostacoli che l'influente stato austriaco e i direttori del museo stesso metteranno sulla sua strada.
Trovando aiutanti insperati a Vienna come in America, un processo potrà finalmente prendere il via, e pace, con il passato, essere fatta.


Costruito come il più classico film hollywoodiano di rivincita dei deboli contro i forti, Woman in Gold trova nella sola Helen Mirren il suo senso.
Superba, gigioneggiante, si diverte nei panni di una donna anziana e altera sicura di sé, che dopo anni di volontario esilio torna nella sua terra natia per una battaglia che deve essere combattuta.
Se inizialmente infatti non si capisce bene il suo bisogno di tornare in possesso di un ritratto che è diventato un bene per l'umanità intera, una volta approfondite le sue motivazioni, le sue clausole sul futuro di quel dipinto, la si appoggia, anche se questo vorrà dire volare fino a New York per godere di questo Klimt.
Meno bene invece il resto del cast, a partire da un Ryan Reynolds forzatamente impacciato, che nei panni dell'avvocato volitivo e timido proprio non ci sta, e pure Tatiana Maslany, trasformista in Orphan Black che ci delizia con un nuovo accento, sembra scimmiottare quanto in futuro Helen Mirren farà diventare la sua Maria. Katie Holmes si intravede poco, Daniel Brühl è fortunatamente sempre un bel vedere.
Sviluppandosi come una scalata a tappe, tra piccoli impedimenti, grossi salti in avanti e insperate scorciatoie, nel film non mancano i momenti flashback in cui la fotografia cerca un effetto vintage non del tutto riuscito (molto meglio invece per quel che riguarda la scenografia: incantevole nella parte viennese), in cui la storia fa il suo ingresso, porta luce al presente.
Classico quindi nella sua realizzazione, Woman in Gold nella sua scorrevolezza e nel suo essere emozionante senza però mai essere davvero e profondamente toccante, ha il pregio di far conoscere una pagina di storia recente che affonda le sue radici in un passato che non si può dimenticare.
Troppo poco?
A volte basta anche così.


4 commenti:

  1. io non vedo l'ora di vederlo, punto!

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    1. La visione la merita senz'altro, si sviluppa troppo classicamente ma é ben fatto e coinvolgente!

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  2. Perfettino, un po' buonista, ma davvero un dramma ben confezionato.
    Non manca la leggerezza, la (forzata) lacrimuccia in agguato: oltretutto, tutti super bravi.
    Anche Reynolds.

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    1. Reynolds l'ho trovato un po' troppo forzato, nei panni dell'avvocato impacciato non ci stava benissimo.. Sarà che comunque davanti alla Mirren tutti perdono punti!

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