8 ottobre 2017

La Domenica Scrivo - Futuri (di schermi, distopie e speranze)

Ho visto cose come un futuro che ci aspetta fra due anni in cui il sole non si vedrà neppure, in cui nebbia, smog e fumo domineranno sulla Terra, una Terra sempre più orientaleggiante, da cui chi può fugge.
Un futuro che non sembra nemmeno così impossibile, ma che si spera non accada davvero da qui al 2019.
In fondo, avevo anche letto di un 1984 totalitario e in cui la Storia si riscriveva, in cui il Grande Fratello ti guardava, ti osservava, e non eri tu che perdevi tempo prezioso, neuroni preziosi, a guardarlo. Avevo visto -di riflesso- un uomo sbarcare sulla Luna e nonni che fantasticavano di andarci in vacanza, su quella Luna, che resta irraggiungibile, che resta con le sole orme di Armstrong sul suo suolo. Avevo visto un 2001 in cui l'Odissea nello Spazio non aveva confini, mentre ancora oggi si fatica a partire dalla Terra, si fatica a sostare nello Spazio, nel vuoto, nell'affidarsi ciecamente a un computer.
Hal fa paura.
Ma al computer, ai social, si affida la propria vita, facendone uno specchio nero pronto a rivoltarsi, pronto come nella serie di Charlie Brooker a prendere il sopravvento.
«Non abbiamo alzato la testa dai nostri telefonini fino a quando non era troppo tardi» dice Offred.
Lei che quel futuro lo vive già dal lontano 1985, quando lo scrisse Margaret Atwood, lo vive modellato sull'oggi nella serie The Handmaid's Tale, un futuro in cui tutto o quasi è sterile, un futuro che sembra un passato, agghiacciante e pericoloso soprattutto per noi donne, un futuro che vuole mettere in guardia da un presente e -chissà- da un Presidente.
Vuole farci alzare la testa dai mille schermi che la distraggono.



Vedo quindi persone che del loro futuro si preoccupano, che scelgono di farsi congelare, di non morire, no, mai, ma di aspettare nudi e freddi la soluzione delle soluzione, la sconfitta della morte anche se questa prevede il lasciarlo quel corpo, vivere ricreati in una qualche forma tecnologica che ci studia, ci ricrea.
La morte non la si accetta.
E vedo un presente in cui i morti tornano in vita, conversando amabilmente tramite mail e chat, con logaritmi che ne hanno studiato risposte tipiche, carattere e umorismo, ricreandolo per chi -parenti, amici, amanti- non accetta la fine.
Vedo un futuro che fa paura, e investitori che cavalcano questa paura, costruendo fortezze sottoterra, veri e propri quartieri, comunità, bunker in cui sopravvivere se la fine del mondo ha inizio, se la guerra nucleare prende il sopravvento, se davvero finiamo per farla finita con le nostre mani.
Vedo questi quartieri sembrare niente più che un set cinematografico, la rappresentazione della realtà, il camuffamento attraverso finestre finte, schermi che riproducono luce solare, il cielo pure, per poter ingannare mente e spirito, facendo dimenticare i metri che separano invece da quel cielo, da quel sole.
E sembra davvero tutto un film.

Sembra davvero l'ennesimo gioco di una mente annoiata, che nella fine, nel corso di sopravvivenza del proprio protagonista, si diverte, mettendo in gioco prima di tutto se stesso, lo scrittore, lo sceneggiatore di turno.
Perché la fine, come il futuro, è piena di fascino.
Perché le opzioni, le possibilità, le variabili da mettere in conto, sono davvero infinite, e la mente annoiata si diverte, crea, immagina.
Sbaglia, il più delle volte, non tanto magari tra zombie e virus e guerre, ma l'anno, spostando la lancetta più in là, arrivando a un 2049 tutto da scoprire.
Tutti questi futuri, tutti questi campanelli d'allarme, non dovremmo ignorarli, guardandoli a mente spenta, divertita dall'intrattenimento, ma dovremmo invece riflettere, prenderci un momento, quando lo schermo torna nero, quando i titoli di coda partono o quando un articolo finisce, per ridimensionarci, noi e le nostre scelte.

In tutti questi futuri ne vedo uno più degli altri vicino, vedo una Terra ricoperta di immondizia, di scarti, vedo robot che cercano di ripulirla, di ordinarla, mentre noi, gli umani, anestetizzati da schermi, dalla comodità dell'avere tutto, giriamo per lo spazio infinito, non toccandoci nemmeno più, non interagendo, mangiando, seduti, imprigionati dalle nostre libertà, dalle nostre stesse invenzioni e comodità.
In questo futuro, però, la speranza c'è.
È la speranza più semplice, quella piena di poesia, una speranza che nasce tra due mani che si sfiorano, si toccano e si stringono, e da una piantina verde, che nasce.
È speranza, è poesia.
È la dimostrazione che amare un giovine che ama il verde, che mi ha contagiato con il suo amore verso piante, fiori, alberi, è il cammino più giusto da percorrere.

[Il futuro in questione, come la foto del post fa capire, è quello di Wall-e]

4 commenti:

  1. Riflessione più che giusta, il futuro è adesso...
    p.s. che bello il gingillo di Wall-E ;)

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    1. Quel gingillo non ricordo neanche da dove arrivi, ma ritrovarlo è stato bellissimo dopo il trasloco. Il futuro è adesso, è meglio stare sempre in guardia ;)

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  2. Vedrei anche io tutti questi futuri, se solo non avessi la testa abbassata sul mio telefonino... :)

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    1. Ci vorrebbe una Elizabeth Moss con il suo esercito per fartela alzare, immagino ;)

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