21 novembre 2017

Alias Grace

Mondo Serial

È indubbiamente l'anno di Margaret Atwood.
Scrittrice canadese, classe 1939, studiata nelle scuole, sta riscoprendo una nuova giovinezza e soprattutto raggiungendo pure chi -come la sottoscritta- ne ignorava l'esistenza, grazie al piccolo schermo.
Prima con quel capolavoro -l'ho detto? sì, l'ho detto- di The Handmaid's Tale, ora con Alias Grace.
Sempre una donna protagonista, sempre una donna non fortunata, vessata, studiata e osservata, e pure questa volta una donna forte, determinata, intelligente.
Grace è però, prima di tutti questi aggettivi, un'assassina.



O perlomeno una donna condannata in giovanissima età per due omicidi e che ora, nel Canada del 1840, sconta l'ergastolo.
Ora, dopo anni di manicomio e di prigione, la grazia vuole essere chiesta, e il Dottor Simon Jordan è chiamato a studiarla, ascoltarla, valutarla.
È pazza, Grace, incapace di intendere e di volere al momento dell'omicidio? Soggiogata dal fascino e dalla forza dello stalliere McDermott, già condannato all'impiccagione? O è scaltra, furba, capace di evitare trappole, di proclamare la sua innocenza per uscire all'aria aperta?
Per saperlo, dobbiamo prima ascoltare la sua storia.
Una storia che parte dall'acqua e che all'acqua ritornerà, una storia costellata di morti, di superstizioni e che, grazie al lavoro di domestica che Grace compie con devozione e fatica, ci mostra la dura realtà di un'epoca di divisioni sociali, di scandali, da evitare o inevitabili.


Un mondo non certo nuovo quello che ci viene mostrato -visti i costumi, gli anni e il lavoro umile, il pensiero va immediatamente alla parte bassa di Downton Abbey- ma è la narrazione dalla voce della stessa Grace, che scrive a quel dottore, che a lui racconta, omettendo, forse, nascondendo parti e inventandone altre, chissà, la sua vita, a fare la differenza, a dare ritmo, intrigo e appeal alla storia.
E la penna di Sarah Polley, che adatta e plasma, si sente, sopra quella ironica e comunque politica della Atwood.
E non si può che essere catturati da una voce così seducente, da un racconto di cui sì, già si conosce il finale, ma che invita a dubitare, a fremere, a sapere di più.
In questo aiuta la bellezza senza filtri di Sarah Gadon, perfetta pure nella voce, impostatissima, e contorniata da comprimari di qualità come Edward Holcroft, Zachary Levi, Anna Paquin.
Non sarà d'impatto e attuale come The Handmaid's Tale, ma Alias Grace ha una sua forza, una sua indipendenza, che travalica il costume, che ha quella spruzzata di femminismo contemporaneo, e che soprattutto avvince, dall'inizio alla fine di questa parabola.


2 commenti:

  1. Chissà se qualcuno scoprirà le mie opere con anni di ritardo, come sta facendo la tv (e pure io) ora con Margaret Atwood? :)

    Alias Grace ottima (mini)serie, più che altro nella prima e nell'ultima puntata. In mezzo un pochino frena, ma nel complesso è più che valida, e a sorpresa pure decisamente attuale.
    E per fortuna non m'ha fatto venire in mente Downton Abbey. :D

    E Sarah Gadon qui è pazzesca!

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    1. Leggendo l'intervista alla pazzesca Gadon, in Canada già se la teneveano stretta la Atwood, facendola studiare sui banchi di scuola, ora la sua fama non ha confini.
      La serie me la sono goduta quasi in un sol boccone, quindi il freno non l'ho sentito, e nemmeno la noia inglese dei Crawley ;)

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