11 dicembre 2017

Skam

Mondo Serial

Prendi una serie cool e generazionale come Skins, e spostala in Norvegia.
Prendila nel suo saper fotografare una generazione che ancora non ha la testa perennemente abbassata sugli smartphone e ambientala ai giorni nostri, dove ai dialoghi, devi per forza di cose aggiungere chat, foto pubblicate sui social, squilli e trilli che incombono ogni minuto.
E avrai Skam.
Una serie esplosiva, esplosa lì, in Norvegia, nel web, e che in poco tempo ha spopolato anche all'estero, anche qui in Italia.
Quattro stagioni, 43 episodi, tutti in appena due anni.
Ma: la bellezza.
O, più che la bellezza, il saper raccontare senza filtri, senza fronzoli, i giovani di oggi.



Siamo a Oslo, siamo al liceo Nissen e per l'annuale rituale del Russ (la festa dell'ultimo anno in cui ci si divide per gruppi e si gira per la capitale con un proprio autobus appositamente abbellito) ci si prepara con anni di anticipo.
Seguiamo così più amici, personalità e modi di essere diversi, in questa preparazione. Ogni stagione, infatti -più o meno come Skins- si focalizza su un solo personaggio, puntando così i riflettori anche su un tema attuale.
Nella prima, abbiamo Eva, che non ha più una migliore amica, anzi, non ha più un'amica. Ha solo il suo ragazzo, Jonas, che però di amici ne ha, e cerca il suo spazio. È la solitudine, il vedere gli altri, le altre, divertirsi, e non sapere come uscire da questa solitudine.
Ci pensa però quell'uragano di Vilde a cambiare le cose, lei semplice e naive, a tratti irritante, altri vera e dura, metterà insieme un gruppo speciale e quanto mai eterogeneo per il Russ: oltre a Eva, la simpatica Chris, la mussulmana Sana e la sofisticata Noora.
Proprio su quest'ultima si concentrerà la seconda stagione -la più debole, a mio avviso- seguendola nel tormentato amore con il ricco e complessato William, toccando temi come il web shaming, lo stupro, e -ancora una volta- la solitudine.


Il vero botto lo si fa però con la terza stagione, con l'omosessualità trattata finalmente senza troppi filtri e senza chissà quali drammi, come davvero fosse finalmente un qualcosa di normale che solo a se stessi si ha paura di confessare. Impossibile non amare Ivak o Even, e pure qui, in un amore che fatica a stabilizzarsi, si può parlare di malattia mentale, di depressione, di bipolarismo.
Infine, l'ultima stagione si fa ancora più politica, più impegnata, puntando i riflettori su Sana, una mussulmana norvegese che fatica a sentirsi sia mussulmana, sia norvegese, con gli sguardi impauriti e indignati per il suo hijab a seguirla, con la corazza che si costruisce per farci fronte.
Si potrebbe dire che Skam in un panorama di serie teen da sempre sovraffollato, poco di nuovo ha da dire, si potrebbe dire che temi come la malattia mentale, la religione, l'omosessualità e sopratutto gli amori contrastati e difficili, sono già stati trattati e in mille salse. Ma Skam offre un ritratto veritiero della gioventù di oggi, e anche se l'età mi ha fatto spesso inveire verso quei silenzi, quel non affrontare di petto -parlando- anche le situazioni apparentemente non così difficili, Skam, Eva, Vilde Noora e gli altri, finiscono per entrare nel cuore.
Finiscono per far sorridere come scemi di fronte a baci e carezze, di fronte a messaggi e intere chat che svelano verità, finiscono in modo sottile, ma a volte neanche troppo, per toccare temi profondi, politici, pure.
Basta una bambola portaspilli a forma di Trump, in fondo, basta un discorso a cuore aperto sull'importanza del Gay Pride.


Certo, di momenti deboli, ce ne sono, Noora e William -come Eva stessa dice- sembrano usciti da una stagione di Gossip Girl, i tempi a volte sembrano più che dilungati, la mancanza totale di genitori e figure adulte sembra irreale (anche se ben esprime il mondo a sé che è l'adolescenza), e la spalla comica di turno -Eskild- spesso esagera, e diciamo pure che molto ritmo, molto umorismo, è "lost in translation".
Non la bravura e la naturalezza degli attori, però, non il sapiente uso di una colonna sonora accattivante, che crea scene splendide e epiche, tra il divertente e il romantico (grazie, grazie, per quella Talk Show Host dei Radiohead), anche se ha creato problemi alla diffusione della serie, per la mancanza di diritti.
Dopo quattro veloci stagioni, dopo aver conosciuto in ogni loro debolezza, in ogni festa esagerata, in ogni bacio, in ogni ubriacatura, in ogni dubbio e messaggio, si finisce in bellezza, con un episodio collettivo che dà voce anche ai personaggi rimasti qua e là in disparte, e si finisce soprattutto con una lettera che l'impegno e l'intento politico lo mostra tutto.
Perchè sì, l'impegno, la realtà, possono passare anche attraverso un telefono che continua a squillare, attraverso un emoji, attraverso una serie TV adolescenziale norvegese.


4 commenti:

  1. Visto quest'estate e mi è piaciuto moltissimo! Pure la seconda stagione. Devo dire però che Noora mi è piaciuta dal primo istante.

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    1. Noora tanto mi piaceva all'inizio, quanto poi con le sue titubanze mi ha annoiato con William. Resta però una serie bellissima, fresca e giovane che finalmente sono riuscita a recuperare!

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  2. Ho visto solo il primo episodio e mi sono sembrati 20 minuti abbastanza anonimi, anche se veloci da seguire.
    Essendo però il mio genere di serie, poco a poco potrebbe conquistarmi. Magari durante le feste natalizie potrei farmi una full immersion norvegese. Anche se il fatto che fino alla terza stagione la serie non ingrani veramente mi preoccupa un pochino...

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    1. Io prevedo ti conquisterà a breve. La prima stagione ci mette un po' (ma neanche troppo) ad ingranare, mentre la seconda ha contro solo i troppi cliché da serie americana con storia tormentata per un ricco e bello e complicato, che poi i gusti delle norvegesi dovrebbero essere rivisti...
      Ma dato che ti sei visto TUTTI gli episodi di PLL, non credo ci saranno problemi ;)

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