12 giugno 2018

Trust

Mondo Serial

È l'anno di John Paul Getty III.
O meglio, è l'anno in cui tutti parlano di lui.
Di nuovo.
Sarà perché corrono i 45 anni dal suo rapimento che fermò il mondo intero per mesi, sarà che ormai i protagonisti di questo rapimento non ci sono più, e finalmente, cinema e TV possono raccontare la sua storia prendendosi certe libertà, riportando i fatti nudi e crudi.
Ci è riuscito per primo Ridley Scott, con Tutti i soldi del mondo che nonostante la nomination agli Oscar per Christopher Plummer (anzi, anche per quella), non ho voluto vedere. Il fatto è risaputo: nei panni del miliardario John Paul Getty c'era inizialmente nientemeno che Kevin Spacey, ma a pochi mesi dall'uscita del film, Spacey è stato travolto dagli scandali e prontamente sostituito da Scott con Plummer, con Michelle Williams e Mark Wahlberg chiamati a rigirare le scene condivise. Decisione infelicissima per accontentare il botteghino e i ben pensanti.
Se non ho voluto vede il discutibile Tutti i soldi del mondo è però anche perché in lavorazione c'era una serie TV che andava a raccontare la stessa storia: Trust, prodotta e in parte diretta da nientemeno che Danny Boyle.
E vuoi mettere Boyle contro Scott? Vuoi mettere una serie che più sa approfondire mesi e anni di una famiglia tormentata e di un rapimento scomodo?
E allora eccoci qua, vada per Trust.



Boyle gioca facile fin dall'inizio, mettendo come canzone di apertura Money dei Pink Floyd, mostrandoci una festa perfetta in una villa perfetta rovinata però da un suicidio, quello di George Getty, figlio di John Paul Getty, il miliardario più avaro del mondo, che non piange la morte del figlio, non dà un ricevimento come si deve per il suo funerale, parla di lavoro dal pulpito della chiesa.
John Paul Getty è così, ha un harem a sua disposizione, ha miliardi da gestire, ma segna su un taccuino ogni spesa, ha un telefono a gettoni per gli ospiti nella sua villa, non ha alcun senso di paternità.
Cresciuti senza amore e senza nemmeno troppo denaro, i suoi figli lo odiano e lo venerano, ricercano la sua approvazione nonostante il risentimento che provano nei suoi confronti. Così è anche per John Paul Getty III, nipote non ancora 16enne che arriva per quel funerale di cui sopra, cerca riparo in quella villa incontrando le simpatie del nonno, ma che in realtà, come tutti, cerca denaro, nasconde segreti.
Poco a poco ricostruiremo i puzzle di questa famiglia senza legami, di questi figli senza padri che sopperiscono alla mancanza con la droga, accumulando così debiti.
Ci verrà mostrato il passato dalle tinte in kodachrome, ci verranno mostrate più sfaccettature del presente, mentre quel rapimento pieno di enigmi e inganni viene pianificato, ha luogo a Roma, si consuma fra le montagne della Calabria.
A fare da indice le richieste di riscatto fatte dai rapitori e quanto John Paul Getty consentiva di volta in volta a pagare, per lo più "non un singolo penny".


Bisogna ammettere però che proprio come quel rapimento diventato presto cronaca da pettegolezzo, nemmeno Trust è gestita a dovere, disperdendosi, perdendo qua e là colpi e interessi, allungando il suo brodo in più e più sottocapitoli (per dire, per quanto il valletto Bullimore faccia da contraltare umano all'interno della villa di Getty, la sua storia non interessa così tanto).
Non pensavo di dirlo, poi, ma il migliore della serie -come personaggio, come attore e come suo utilizzo- è il da me da sempre odiato Brendan Fraser, che si ritrova in ottima forma (non fisica), dopo quel ritorno piuttosto imbarazzante nell'imbarazzante terza stagione di The Affair. Il suo detective privato Chase fa qua e là da narratore agli episodi, interagisce con noi, abbatte la quarta parete, gigioneggia che è un piacere, arrivando nel finale a mostrare un'umanità che nessun Getty ha, e unico poi ad imparare qualcosa dalla vicenda.
Noi italiani poi ci difendiamo un gran bene, con un sempre più idolesco Luca Marinelli, qui vero cattivo senza morale, e un episodio alla 'ndrangheta dedicato in cui Donatella Finocchiaro, moglie e madre, spezza il cuore.
Poi sì, ci sono i fuoriclasse Donald Sutherland e Hilary Swank che anche quando sottotono lasciano il segno, e c'è soprattutto il giovane Harris Dickinson, tormentato e triste John Paul Getty III di cui sentiremo ancora parlare.
Se tutti i soldi del mondo non sanno comprare l'amore e non sanno proteggere dai mali della vita, nemmeno tutte le carte in regola (la storia, gli attori, il produttore) sanno regalare una serie perfetta, che poteva esserlo, sa esserlo in alcune sue parti, e di queste facciamo che ci accontentiamo.


Voto: ☕☕/5

6 commenti:

  1. Dovrei vederlo, ma lo temo.
    Mi invoglierà la curisoità di vedere Marinelli in lingua, già lo so.

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    1. Ammetto che per Marinelli son serviti i sottotitoli, che il calabrese poco lo mastico. Lui bravissimo, la parte a lui dedicata pure, e anche se qua e là si sbadiglia, un bel vedere!

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  2. La sto vedendo in questi giorni ed è davvero una serie bella ;)

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    1. Non tutto mi ha convinto, e in alcune parti è prevalsa la noia, ma nel suo insieme, grazie ad episodi e personaggi fantastici, sì, una bella serie :)

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  3. Anche io ho preferito guardare prima questo del film, visto che Boyle batte nettamente Ridley Scott. Non a caso gli episodi da lui diretti sono una bomba. Poi è vero che qua e là c'è qualche riempitivo, però tutto sommato mi è sembrata una serie parecchio buona, una delle poche buone di quest'anno, con dei picchi notevoli.
    Confermo che a sorpresa c'è un grande Brendan Fraser, mentre Donald Sutherland e soprattutto Hilary Swank non mi hanno convinto in pieno. In questo caso credo che preferirò la Michelle Williams del film... :)

    Harris Dickinson e Luca Marinelli comunque rubano, anzi sequestrano la scena, e chissà se presto riusciranno a conquistare anche Hollywood?

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    1. Accetto e appoggio la scommessa, quanto a Brendan, una vera e propria sorpresa!
      Sutherland comunque spietato e con un buonissimo italiano, molto meglio della Swank che rispetto alla comparsatina da Soderberg sa riprendersi la scena.

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