Gli anni ’60 sono gli anni colorati del rock ‘n roll, gli
anni del femminismo e del perbenismo. Ma sono soprattutto gli anni delle
rivendicazione dei diritti, delle marce di protesta di Martin Luther King,
delle lotte al Ku Klux Klan.
Su questo sfondo (scenografico e musicale) si muove il film
The help, rivelazione dell’anno, già vincitore ai Golden Globes per la
categoria miglior attrice non protagonista e ora in corsa per gli Oscar come
miglior film.
Al centro delle vicende un vero scontro culturale e
razziale, tra le donne bianche ricche e superficiali e le loro domestiche di
colore, sfruttate e sottopagate che gestiscono la loro casa e crescono i loro
figli. Il rapporto di sfiducia, di diffidenza è però spezzato dall’intraprendente
Skeeter, aspirante giornalista/scrittrice che decide di parlare proprio della
condizione delle domestiche e di farlo dal loro punto di vista. Inizialmente solo
Aibileen e Minny accetteranno di parlare con lei per avviare questo progetto,
le loro storie, commoventi e divertenti apriranno uno squarcio sull’ipocrisia
di una società raccontata da chi da sempre è costretto a vivere ai margini e
nella paura. Ma l’iniziativa di Skeeter sarà ostacolata proprio dalle sue
vecchie amiche, casalinghe fallite più impegnate per la beneficienza di
facciata che per l’uguaglianza in casa. Le loro storie e le vicende delle donne
di Jackson si intrecciano e vanno a confluire
nel romanzo che sconvolgerà menti e paradisi domestici, mentre gli uomini
stanno ai margini, relegati a ruoli minori di spettatori.
Le attrici in questo film incantano, e non solo per la loro
eleganza (i vestiti d’epoca sono tutti meravigliosi) ma soprattutto per la loro
bravura. Jessica Chastain dopo aver incantato in The tree of life riesce a
risultare veramente odiosa nel ruolo della perfida Celia, così come Viola Davis
e Octavia Spencer incarnano alla perfezione la bontà e la forza delle madri
nere.
Tratto dall’omonimo romanzo del 2009, The help mette molta
carne a fuoco, le vicende da raccontare sono tante e anche se il tema della
discriminazione le accomuna tutte, fanno sì che il film si prolunghi, forse
troppo, per cercare di mostrare la conclusione di ogni vicenda. Il lieto fine è
però dietro l’angolo, così come la commozione che molte volte affiora e prende,
ma quello che più riesce al film di Tate Taylor è riuscire a farci sorridere e
ridere, e riflettere, perché gli anni
della discriminazione non sono poi così lontani.
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