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17 giugno 2015

Bronson

E' già Ieri -2008-

Dagli errori si impara.
E a volte, quindi, quell'errore non è poi così sbagliato.
Succede infatti che nel parlare e nel consigliare una piccola chicca televisiva inglese datata 2007 -Stuart: A Life Backwards-, il buon Mr. Ink non solo accetti e apprezzi il mio consiglio, ma di rimando mi mandi alla visione di un'altra grande interpretazione di uno dei beniamini di questo blog: Tom Hardy.
Un'interpretazione diversa da quella sopracitata, dove i suoi muscoli la fanno nuovamente da padrone.
Succede però che da sbadata quale sono non mi segni il titolo consigliato, e una volta alla sua ricerca ricordandomi solo le parole chiave *muscoli* e *Tom Hardy*, sfogliando fra la sua filmografia, vada a scegliere Bronson. Film che tra l'altro giaceva nella mia lunga lista dei recuperi assieme al resto di quelli diretti da Nicolas Winding Refn.
Peccato però che Mr. Ink non intendesse consigliarmi Bronson (e non certo perchè è da sconsigliare, anzi), ma parlasse di Warriors, film più americano e più convenzionale dove i bicipiti e la fisicità di Hardy hanno comunque il loro peso.


Male non mi è andata, però.
Anzi.
Perchè Bronson è una di quelle pellicole travolgenti: per stile, per regia, per interpretazione e per storia.
Bronson è un biopic atipico a partire dal personaggio di cui vuole raccontare la vita: Michael Gordon Peterson, celebre con lo pseudonimo cinematografico Charles Bronson, che non è un giustiziere della notte, ma altri non è che il prigioniero più violento d'Inghilterra.
Per diventarlo non ha ucciso nessuno, si badi bene, ma ha comunque passato al momento più di 40 anni dietro le sbarre, di cui circa 30 in isolamento.
Come ci racconta lo stesso Bronson, non è stata la sua educazione a renderlo così violento, la sua indole si è sviluppata perpetrando anni di bullismo nella scuola, con una madre che però lo ha sempre protetto. La prima rapina lo spedisce in carcere per 7 anni, che potrebbero essere solo 4 se di mezzo ci si mette la buona condotta e gli arresti domiciliari, ma lì, nella sua stanza d'albergo, come la chiama, Peterson capisce che vuole qualcosa dalla sua vita, da questa esperienza: vuole diventare famoso. E così ci si mette d'impegno, pestando chiunque gli capiti a tiro, guardie, agenti, compagni di cella... La sua pena aumenta, viene sballottato qua e là per il Paese (120 gli spostamenti tra le varie carceri in totale) ma la sua sete di violenza non si placa. Solo le pillole e le punture ci riusciranno, nel manicomio criminale in cui viene finalmente spedito. Ma anche qui, la pace ha breve durata, perchè l'impotenza, la sofferenza che prova Peterson a non essere al 100% lo scatena in una rivolta che ha dell'epico.
Il sistema non sa che farsene di uno come lui, e anche quando la Regina lo libera sperando così di risparmiare ai contribuenti quanto tra vandalismo e atti di violenza ha fatto spendere, la libertà per un uomo che ha vissuto più della metà della sua vita dietro le sbarre, non sarà semplice.
E sarà breve.
Soprattutto se per vivere inizia la carriera di pugile clandestino scegliendo come nome di battaglia Charles Bronson, appunto.


In questo racconto di un antieroe, di un personaggio tanto scomodo quanto polically scorrect, Tom Hardy si scatena: una mimica unica, di pazzo furioso che si contiene e finge modi da lord, un guerriero senza paura e pronto all'azione, che si mostra nudo e crudo, che si mostra divertito e esagerato.
Tom Hardy è una bomba.
Questo perchè Bronson non è raccontato in modo lineare e stereotipato, ma come detto c'è raccontato da Bronson stesso, su un palco, davanti ad un pubblico, truccato e gonfiato, a intervallare pezzi della sua vita con monologhi, siparietti ed espressioni uniche.
Prima di arrivare ai silenzi e ai tecnicismi di Drive e Only God Forgives, Refn si lascia andare a una marea di parole, tutte con quell'irresistibile accento british, che come una valanga travolgono lo spettatore, assieme ai pugni, ai colpi, a quei carrelli e quelle scene cariche di genialità che immortalano le imprese di Peterson.
A congiungere il tutto, resta quella musica elettronica, sempre chic e sempre stilosa, che anche qui fa la sua comparsa.
La missione di Bronson si può quindi dire compiuta, questo film ne sancisce e ne celebra le imprese, in un modo decisamente unico, originale e irresistibile.
Il merito non va' però alle sue singole gesta, ma soprattutto ad un attore e ad un regista da applausi.


5 commenti:

  1. Refn non ho ancora capito se mi piace completamente, sai?, quindi lo scoprirò definitivamente con Bronson.
    Tommaso Resistente, come dice Bara, è sempre ottimo. Anche nell'americanissimo Warrior, che intrattiene a dovere. :)

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    1. Refn finora non mi aveva entusiasmato troppo, bravo dietro la macchina da presa ma troppo freddo.
      Qui invece si lascia andare, e mi fa tornare la voglia di rivedere anche gli altri suoi lavori.
      In programma poi, altro Tommaso Resistente!

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  2. Ottimo film, e grandissimo Hardy.

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  3. Mi piacque molto... Non so dire se diventerà cult con il tempo, ma merita davvero molto!

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