Dici Simone De Beauvoir e anche se non hai letto nessuno dei suoi libri, pensi alla Francia degli anni '40, pensi ai salotti letterari, ai circoli intellettuali, allo scambio di idee che alla luce di lampade ad olio lei e Paul Sartre, lei e Jean Cocteau, lei e Albert Camus possano aver fatto, pensi al femminismo, alla sua battaglia pre-rivoluzione sessuale che scandalizzò all'epoca, facendola conoscere, facendola arrivare al successo.
Dici Violette Leduc e invece non sai che pensare.
Perchè la fama non l'ha assistita né nei suoi tormentati primi anni da scrittrice, né è arrivata fino ad oggi, mettendola in un angolo, facendola dimenticare nuovamente dopo quel successo che si è guadagnata sputando sangue, letteralmente.
Violette Leduc era una giovane che doveva cavarsela.
Imprigionata in un matrimonio di convenienza con un altro scrittore, Maurice Sachs, omosessuale dichiarato, voleva l'amore, voleva il sesso, senza poterlo avere.Bisessuale, proprio grazie a quel marito mise i suoi tormenti interiori su carta, partendo dai traumi dell'infanzia, da quella madre che mai le ha preso la mano. Sfogandosi, trovando la poesia anche nei ricordi più crudi, si trasferì presto a Parigi, cercando quel marito fuggitivo, trovando invece in Simone un modello, un'icona da invidiare e a cui affidare quanto scritto.
Sotto uno stile tanto diretto, senza bisogno di alcuna maschera, di alcun sottinteso, Simone la prese come sua protetta, vedendo oltre la sua sciatteria, la sua bruttezza, da sempre punti deboli che la mettevano in crisi.
Così facendo, però, le permise di sognare la gloria, il successo, l'acclamazione che avrebbero voluto dire anche l'amore da parte di quella madre che si teneva ancora a distanza, da parte di quell'amore lasciato per le convenienze. E visto che quel successo, quella fama tardarono ad arrivare, Violette si fece prendere dalla rabbia, dall'ansia, affidandosi ad altri, ascoltando troppi pareri, finendo quasi per impazzire.
I tormenti di una giovane artista sono qui raccontati diventando in breve il romanzo più interessante scritto dalla Leduc: la sua vita, inevitabile fonte di ispirazione per quelli che sono diari, fogli di sfogo in cui la sua mente arrabbiata trova la libertà di esprimersi.
Il biopic si sviluppa quindi in modo classico, seguendo cronologicamente la vita dell'artista, seguendo le sue cadute, come i suoi traffici nel mercato nero durante gli anni della Guerra. Non ci fa conoscere i salotti letterari, non dà spazio ad altri se non alla musa Simone, mostrandocela altera e sicura di sé, bellezza quasi androgina e stilosa così in contrasto con il fisico meno longilineo, con gli abiti meno d'alta moda e la casa piccola e angusta di Violette.
Poco ci viene mostrato anche di quella Parigi storica, soffermandosi invece sulle campagna bucoliche che permisero a Violette la rinascita e la redenzione, a Emmanuelle Devos di lasciarsi andare e di interpretare con corpo e voce una scrittrice all'epoca considerata scandalosa, che esprimeva finalmente il punto di vista femminile sul sesso e sulla carne, senza remore, senza censure.
I suoi tormenti sono così una visione non troppo estiva, ma che persegue lo scopo primo dei film, e delle biografie in primis: farci conoscere, farci interessare e portare alla luce la vita di chi è stato dimenticato, o di chi non si vuole più dimenticare.
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