Fantascienza e spazio sono tornati di moda nel cinema.
A braccetto con l'ondata di voglia di scienza che ha impossessato grande e piccolo schermo negli ultimi anni, ora quegli astronauti che si erano messi in pensione ormai a fine anni '90 han dovuto togliere la polvere dalle loro tute, e tornare in quel cinema che grazie al digitale, grazie ad effetti sempre più all'avanguardia sta al passo con quanto di vero si continua a scoprire, là fuori.
Ed ecco quindi che dopo la suspense di Gravity, dopo gli interrogativi paradossali di Interstellar, arriva Ridley Scott a dire la sua, sfruttando per bene la voce di Andy Weir, autore del best seller da cui The Martian è tratto.
Le paure per un ennesimo flop erano alte, non basta infatti il nome di Scott a dare garanzia, non basta il cast all stars che ha assemblato o una storia che ha tutte le potenzialità per appassionare: con The Counselor (Michael Fassbender, Penelepe Cruz, Cameron Diaz, Javier Bardem) e con Exodus (Christian Bale, Aaron Paul, Sigourney Weaver) sappiamo tutti come è andata finire, tra delusione e risate davanti a tanto spreco.
The Martian invece compie il miracolo: salva Ridley Scott, salva il genere fantascientifico, salva per l'ennesima volta pure Matt Damon.
Questo, però, se si accetta un certo punto di vista: quello che vira più alla commedia -per quanto seria- che al vero e proprio dramma, che accetta personaggi caricaturali, che accetta momenti in cui l'ironia è alta e la fa da padrona, alla faccia dei tanti momenti in cui ci si chiedono lacrime e brividi.
Solo così i 140 minuti di durata passeranno più o meno velocemente, e ci troveremo a ridere e sorridere di fronte alle imprese e al genio del botanico Mark Watney, solo e abbandonato su Marte dopo una tempesta di sabbia in cui i compagni credevano di averlo perso, solo contro il tempo, contro le provviste di cibo, contro la fatalità.
Ci vogliono tutta la sua forza e tutta sua l'intelligenza per farcela, per risolvere, un problema alla volta, tutto quello che gli si presenta: dal trovare una nuova fonte di cibo nella coltivazione di patate, al trovare un modo per comunicare con la Nasa.
E mentre i cervelloni e burocrati cercano un modo per trarlo in salvo, mentre la corsa contro il tempo si sposta anche in una Terra che si ritrova (va a capire bene perchè) così in ansia e in apprensione per la vita di questo botanico, lui ci aggiorna con diari video, scherza e ride e balla sulla disco music del suo capitano Lewis, divertendoci, sdrammatizzando.
Se la prima parte si compone di questi tentativi di sopravvivere sul pianeta rosso, la seconda si concentra sul riuscire a farlo fuggire da lì, con la sua squadra richiamata all'azione, con i toni che si fanno più leggeri, più scanzonati.
Fino al finale almeno, dove tutto questo punto di vista rischia di collassare davanti alle lacrime dei controller, davanti alla loro ansia da prestazione, davanti a un salvataggio in extremis che ha dell'incredibile, dell'inverosimile.
Ma si accetta anche questo, magari un po' a fatica, se si accetta di non voler vedere in The Martian la stessa serietà e lo stesso spessore di dramma visto in Gravity e in Interstellar, pur trovando qui unite le due condizioni che ci faceva soffrire in questi due film: la solitudine, totale, e l'inarrestabile passare del tempo, in questa solitudine.
Se la penna di Weir è da esaltare per la sua maestria, Ridley Scott sfrutta bene tutti i mezzi a sua disposizione per creare un Marte che lascia a bocca aperta, con scene e montaggio che si fanno ritmati e fluidi, con sequenze dove è l'azione a farla da padrona che non possono che coinvolgere.
Il resto lo fa principalmente un Matt Damon in ottima forma, con un personaggio scritto meravigliosamente, che mette in ombra tutto il resto del cast formato da gran nomi e gran attori (da Jessica Chastain a Chiwetel Ejiofor, da Jeff Daniels a Kristen Wiig, da Mackenzie Davis a Kate Mara) che sembrano spesso quasi forzati nelle loro emozioni, nelle loro reazioni.
Infine, a dare quel tocco di unicità, quel tocco di ironia in più, dissacrante, lo fa la colonna sonora, a cui all'orchestra di contrappunto si alternano ABBA, Donna Summer, David Bowie, la storia della disco che sola sa sottolineare perfettamente quanto il povero Watney sta passando.
L'accettazione di quel punto di vista fa quindi la differenza, senza questa scelta, tutti i difetti (che ci sono, tra forzature nel finale e scivolate in cliché e caratterizzazioni troppo forti) non faranno altro che venire a galla.
Sono curioso, in fondo Scott resta sempre un grande nome, nonostante gli scivoloni.
RispondiEliminaPenso che lo vedrò nel weekend.
Penso proprio che potrà piacerti!
EliminaQuesta volta Scott si fa perdonare per bene :)
I believe! Forza Ridley :)
RispondiEliminaIl vecchio Ridley torna al suo genere preferito e dimostra di saperci ancora fare: questo film ha il grande pregio di non prendersi sul serio e di non ricercare a tutti i costi la veridicità scientifica (che non serve molto nella fantascienza). La colonna sonora irresistibilmente "seventies" è un vero colpo di genio! Peccato un po' per il finale, forse troppo "esagerato", ma nel complesso, come dici anche tu, i 140 minuti scorrono via veloci e ci si diverte. Non è affatto poco.
RispondiEliminaQuel finale, come quello di Gravity, scivolo un po' troppo sull'esagerazione e il pathos, ma visto che anche prima si ride e non ci si prende sul serio, lo si perdona e lo si accetta.
EliminaIl genere fantascientifico ci sta regalando ottime perle ultimamente, nello spazio!