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15 marzo 2017

Smetto Quando Voglio - Masterclass

Andiamo al Cinema

Diciamolo subito, no Smetto Quando Voglio Masterclass non è come il suo capostipite.
Manca l'effetto sorpresa, ovviamente, ma manca anche un certo ritmo, quel ritmo scoppiettante che aveva fatto gridare al miracolo in quell'estate di ormai 3 anni fa, in cui Sydney Sibilia si era imposto nel panorama del cinema italiano.
La formula, il cast, oggi restano gli stessi.
E lo ammetto senza problemi: ero la prima ad ever dubbi, seri dubbi, su un trilogia sulla Banda dei Ricercatori. Non era troppo? Non era spremere un buon prodotto in favore del consenso popolare?
No, se c'è ancora una storia da raccontare, no se l'entusiasmo è lo stesso.
Perché, diciamolo ora, anche se Masterclass non è come quel suo capostipite, lo si apprezza, lo si gode, lo si gusta circa allo stesso modo.



Quel "circa" sta per quell'inizio un po' riassuntivo, un po' troppo introduttivo, in cui a mancare è il segno di fabbrica di Sibilia e di SQV: il ritmo.
Già, nel percorrere assieme a Pietro Zinni e al capo ispettore dell'antidroga Paola Coletti le vicissitudini della Banda e la sua rimessa in pista, non c'è la giusta verve, non c'è la giusta colonna sonora scoppiettante, e ogni scena, si sovrappone all'altra aspettando il vero inizio, con l'alchimia tra Edoardo Leo e Greta Scarano che no, non sembra esserci.
Quando però il vero inizio arriva, quando la Banda scalda i motori, viene assunta -con l'aggiunta di un avvocato di diritto canonico, di un anatomista lottatore e di un ingegnere venditore di armi- con l'obiettivo di sgominare i produttori di smart drugs romani, allora, solo allora, Masterclass prende piede, ingrana, e non ce n'è più per nessuno.
La Banda, deve trovare 30 nuove smart drugs per vedere la sua fedina penale pulita, in quello che è però per noi un flashback.
Giulia è ancora incinta, è ancora piena di dubbi sulla capacità di Pietro di cavarsela in carcere e di essere un buon padre, e c'ha anche ragione visto come Pietro riesce a mettersi nei guai tra fughe rocambolesche e sparatorie improvvisate nei suoi mille permessi di uscita.


Nel crescendo che porta al gran finale, alla droga numero 1 (o 31) da abbattere, le risate non mancano, le situazioni assurde neppure, e ormai ad ogni componente della Banda si vuole un gran bene, con Libero De Rienzo e Pietro Sermonti personalmente tra i favoriti.
C'è però un altro ma, un ma che questa volta sta a livello di scrittura e soprattutto di recitazione.
Alcuni dialoghi sono infatti piuttosto banali e intrisi di cliché, in particolare quelli che coinvolgono il protagonista Pietro, un Edoardo Leo fin troppo gigioneggiante e fin troppo cartoonesco nella sua interpretazione, di cui si possono anticipare tic e movenze senza problemi, e che alla lunga, stanca.
Come sempre, però, l'insieme è più delle singole parti, e così questi nei, questi difetti, finiscono per sbiadire di fronte al divertimento assicurato e a un finale ad alto tasso adrenalinico, oltre ovviamente un reparto tecnico che sì, scimmiotta le produzioni americane, ma lo fa un gran bene con quella fotografia precisa e acida, quella colonna sonora incessante e variegata tra Mozart e Kasabian.
Con un cattivo d'eccezione a fare la sua entrata, si resta in attesa, dei dovuti aggiustamenti e del dovuto botto finale.
No, non è ancora il momento di smettere.


Regia Sydney Sibilia
Sceneggiatura Sydney Sibilia, Francesca Manieri,
 Luigi Di Capua
Cast Edoardo Leo, Libero De Rienzo, 
Greta Scarano, Pietro Sermonti
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2 commenti:

  1. Il primo mi è piaciuto senza entusiasmarmi. Questo, come forse ti ho detto, mi è parso troppo lungo e autoreferenziale, a tratti superfluo. Non ho particolare voglia di smettere, insomma, né di proseguire.
    C'è chi considera la serie già cult, ma io mi piazzo dall'altro lato della barricata, nonostante il bravissimo Leo (che mi è piaciuto, molto, anche in Che vuoi che sia: commedia non scontata come appare). :)

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    Risposte
    1. Che vuoi che sia mi era sfuggito all'uscita, e potrei recuperarlo che preferisco Leo nei film piccoli. Qui, la prima parte è davvero lenta, poi per fortuna si ingrana la marcia giusta.
      Cult lo è, ma perchè diverso dal resto delle produzioni nostrane.

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