C'è un caso di omicidio di quelli strani.
C'è un traffico di droga che passa per una pizzeria.
C'è un matrimonio che sta naufragando.
C'è un pastore donna la cui omosessualità crea problemi alla Chiesa.
C'è un politico che deve far fronte alle scelte del suo partito che non lo rappresentano più.
C'è la Brexit che avanza.
C'è il mondo chiuso e fatto di gerarchie e molestie dell'esercito.
C'è lo stress post-traumatico della guerra.
C'è l'immigrazione vista come affare, e che affare è anche all'interno delle agenzie governative.
C'è una detective caparbia, ex sportiva, incinta, che raggira le regole e lavora bene da sola, perchè non si fida, perchè ha capito che così va il suo mondo.
C'è tutto questo in Collateral, miniserie di quattro puntate prodotta dalla BBC e distribuita da noi da Netflix.
E se la domanda è: "non è troppo?", la risposta è: "sì!".
È troppo in modo lato, però.
Perché a poco a poco tutti gli ingranaggi, tutti i personaggi e le loro storie, vanno a confluire in quella principale, che vede un fattorino delle pizze essere ucciso a colpo freddo e sicuro, subito dopo una consegna.
Vendetta? Errore di persona?
Ovviamente visto l'elenco di cui sopra, c'è molto di più, il fattorino era un immigrato irregolare, con sé aveva portato a Londra pure le due sorelle, e l'agente Kip Glaspie s'impegna per proteggerle e per trovare una verità, ben più complessa del previsto.
Quattro giorni, in tutto, per svelare non solo il piano dell'assassino ma pure un intero teatrino che ci sta dietro.
Troppo, comunque, visto come alcuni dei personaggi coinvolti e chiamati a dire la loro, con questa vicenda finiscono per c'entrare gran poco.
Sono eventi e storie del tutto collaterali, ma a conti fatti pure superflue, e che sembrano servire solo a David Hare per ribadire le sue idee politiche, per cercare di far aprire gli occhi sui danni della Brexit, sui razzismi vari, sugli abusi ai danni delle donne, sui profitti interni e loschi e pure sulla Chiesa.
Troppo, quindi.
Soprattutto se poco ci si appassiona a questi personaggi secondari, se Billie Piper e John Simm sembrano esagerati e giustificati ad esserci solo per il loro nome, aggiungendo drammi al dramma.
Non me ne voglia Carey Mulligan, sempre bella, sempre capace di essere antipaticamente brava.
Non me voglia una confezione del prodotto che è ai tipici livelli ottimi inglesi, che non manca di avere un suo tocco di ironia, non solo nei più classici scambi di battute ironici tra colleghi di polizia, ma anche in quelle canzoni così leggere e così pop all'inizio di ogni puntata, che fanno a pugni con quanto segue.
Peccato allora per la confusione, per il voler fare troppo in poco tempo e per quell'eccessivo schieramento politico che -anche se giusto- compromette la possibilità di ritrovarci più avanti ancora al fianco di Kip Glaspie, una figura, che fin dal nome letterario, meriterebbe un'altra storia su cui indagare.
Voto: ☕☕/5
Mmm, mi sa di quelle inglesate lente lente che, nonostante la Mulligan, non troppo fanno per me.
RispondiEliminaNeanche troppo lento visto che è tutto (e di materiale ce n'è) condensato in quattro episodi, ma non è certo imperdibile. Purtroppo.
EliminaC'è davvero troppa roba, quando a me ne sarebbe bastata una sola: Carey. :)
RispondiEliminaNonostante lei, ho visto solo la prima puntata e non ho "troppa" voglia di continuare.
Sarebbe bastata pure a me, non peggiora negli altri episodi anche se aggiunge ancora più carne al fuoco e certi personaggi si fanno decisamente collaterali. Resta una sensazione di "meh" che me la farà dimenticare in fretta.
EliminaMi sembra una di quelle serie che magari strutturata meglio, in più puntate, con più calma, poteva venire fuori un bel prodotto. Peccato questa voracità.
RispondiEliminaMah, allungandola il rischio era quello di far sentire ancora più scollati certi personaggi. La soluzione era sfoltire un po' di argomenti e di storie, peccato sì.
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