Da Egon Schiele ad Alberto Giacometti.
Due artisti, due vite, diversissime.
Morto giovane, prima di conoscere il vero successo, il primo; invecchiato a modo suo, con il successo che lo attanaglia e lo indispone, il secondo.
Eccessivo, passionale, che vive per l'arte il primo, eccessivo, passionale, che vive per le donne e per bere, il secondo.
Pure i film, poi, sono diversi.
Egon Schiele raccontava brevemente e fin troppo velocemente gli anni di maggior produzione di Schiele, Final Portrait si concentra invece su un unico dipinto di Giacometti, il ritratto di James Lord, la sua genesi, il suo evolversi, il suo rimanere incompiuto.
Tutto nasce da un incontro, un'amicizia, a Parigi.
Lo scrittore James si ferma ancora per qualche giorno e decide di posare volentieri per l'artista nel suo atelier, confuso, ingombro di opere non finite, abbandonate, riprese, vendute e scartate.
Poche ore, dovrebbero bastare.
Sarà invece costretto a rimandare la partenza di continuo, a fermarsi fino a tre settimane, assecondando con pazienza le bizze dell'artista, e andandosene poi con un ritratto incompleto.
Nel mezzo, i due, finiscono per conoscersi.
Lo studia James, Alberto, vede le sue crisi, annota i vizi, lo accompagna a bere, a prendere aria, a camminare per cimiteri, osserva i tradimenti verso una moglie succube e infelice a tratti, dolce e amorevole in altri, lo vede ricevere, pagare, sperperare denaro a non finire, lo ascolta soprattutto nei suoi lamenti, nei suoi sfoghi, di artista arrivato ma non per questo appagato, di artista che può vendere per milioni uno scarabocchio, che può disegnare in modo sublime, ma che per quel successo, per la sua volontà di non sentirsi soddisfatto, soddisfatto, felice, non è. Mai.
Ne esce quindi qualcosa di più di un film biografico, qualcosa di diverso da un semplice fatto storico, una riflessione sulla creatività, sull'arte, soprattutto, sull'incapacità di chiudere, di concludere, di avere quel che si vuole, perchè sempre ci sarebbe di cambiare, modificare, aggiungere o togliere.
A seconda dei giorni, dell'umore, di sé.
Il problema, però, è che pure Stanley Tucci in veste di regista non sa bene quel che vuole. Non sa se spingersi troppo sui cenni biografici, non sa se uscire più spesso da quell'atelier e farci respirare il fascino parigino degli anni '60, non sa se andare per il dramma, per la commedia, se prendere svolte più indie, non sa bene nemmeno come finire il suo film.
Indeciso, imbocca un po' tutte le strade, pesando su alcune, correndo veloce su altre. Aggiungendo giorni e confronti, utilizzando l'inevitabile montaggio veloce e musicale quando il tempo è tiranno, e infine portando ad un finale velocissimo che non si si aspettava.
Non me ne vogliano Geoffrey Rush che è un piacere veder così trasformato, invecchiato, imburberito, non me ne voglia Armie Hammer, che è sempre un bel sentire -con quel vocione che ha- e ovviamente vedere -in quei primissimi piani a scrutarne la bellezza-, ma non tutto funziona.
Leggero, leggerissimo, questo episodio della vita di Giacometti vorrebbe inquadrarlo per bene, ma non ce la fa. Vorrebbe fare da sineddoche, ma è un frammento di un quadro e di un discorso sull'arte stessa, fin troppo complesso.
Lo dice, in fondo, lo stesso Giacometti: il risultato che vorrebbe, il ritratto che ha in testa, non potrà mai uscire dalle sue mani, dal suo pennello, e forse è così pure per Tucci.
Regia Stanley Tucci
Sceneggiatura Stanley Tucci
Musiche Evan Lurie
Cast Geoffrey Rush, Armie Hammer
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Turner, Pollock, Egon Schiele
Voto: ☕☕/5
Nonostante la bravura dei due, nonostante un Tucci davvero sorprendentemente capace alla regia, come sai non aveva convinto neanche me.
RispondiEliminaTroppo leggero, troppo veloce a tratti, lento in altri, per rimanere davvero. Nonostante i tre, e la voce di Hammer ;)
EliminaGià il trailer mi aveva fatto sbadigliare e Geoffrey Rush non lo sopporto.
RispondiEliminaDopo Loving Vincent troverò un altro film su un artista (non musicista) che possa fare per me?
Che ti ha fatto Geoffrey, che io fatico sempre a riconoscerlo?
EliminaComunque, per il momento nessun film "artistico" da consigliarti per non farti allontanare dal genere, anche se una visione all'episodio "Vincent and the Doctor" potrebbe aumentare l'amore per van Gogh e far nascere finalmente quello per Doctor Who ;)
Ce l'ho in lista su Netflix, da me era uscito a ottobre o novembre e non ho fatto in tempo a vederlo, anche se non e' perfetto, mi sa che lo recupero! Di Tucci ti consiglio Big Night, e' un film carino e nel caso non ti dovesse piacere, basta la visione di un timballo di maccheroni da leccarsi i baffi!
RispondiEliminaLa carriera di Stucci regista non la conoscevo, e segno più che volentieri il titolo! Qui si difende bene, ma la troppa leggerezza della sceneggiatura e dell'episodio che va a raccontare non graffia abbastanza per i miei gusti.
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