Se n'è andato Philip Roth, se n'è andato lo scrittore che non è riuscito a vincere il Nobel, se n'è andato lo scrittore che se n'era andato in pensione, se n'è andato -soprattutto- lo scrittore che mi ha iniziato alla letteratura americana contemporanea.
È stato il primo, ed è stato quello che ha fatto scattare la scintilla verso famiglie disfunzionali, rapporti con i genitori opprimenti, sensi di colpa spiattellati in lunghe confessioni, personaggi irritabili e irritanti che diventano protagonisti a cui in fondo volere bene.
Se ora la mia libreria pullula di Franzen, di Foster Wallace, di DeLillo, di Safran Foer e di Eugenides, il merito è tutto suo.
Anzi, dovrei dire che il merito va al ragazzo di mia sorella dell'epoca -si parla di almeno 10 anni fa- già innamorato di Roth, che cercando di convincere lei alla lettura, convinse me.
Il Lamento di Portnoy, nei suoi eccessi, nelle sue non censure, lo ricordo ancora come un taglio alle sicurezze di un tempo, da lì a comprare per conto mio Pastorale Americana e conoscere Roth per quello che tutti considerano il suo capolavoro, il passo è stato brevissimo.
Più voluminoso, più impegnativo, più immersivo, la storia apparentemente perfetta diventata un incubo de Lo Svedese, resta nonostante i vuoti di memoria, una delle conquiste letterarie più belle.
Poi, la fame, la dipendenza, mi hanno portato sulla cattiva strada, mi hanno fatto abusare di Roth, mi hanno portato a farne indigestione.
I tre romanzi (Lo scrittore fantasma, Zuckerman scatenato e La lezione di anatomia) più un racconto (L'orgia di Praga) messi assieme nel volume Zuckerman, letti uno dopo l'altro sono stati causa di una certa stanchezza.
Basta famiglie disfunzionali, basta madri opprimenti, riti ebraici da seguire e da cui allontanarsi.
Mi sono allontanata io allora, mi sono presa una pausa, a quel punto, interrotta qua e là solo da Il Professore di desiderio e da quel pugno allo stomaco che sono stati Patrimonio e Indignazione, che una sutura sul taglio ancora fresco, sono riusciti a metterlo.
Il problema, è che ormai la strada era aperta ed era percorsa da altri scrittori, di cui recuperare romanzi su romanzi, capisaldi su capisaldi, e il vecchio Roth, che nel frattempo si era fermato, è rimasto fermo in un angolo.
La voglia di leggerlo ancora, di riprenderlo e ritrovarci, me l'avevano fatta venire Mr. Ink che proprio con Indignazione lo scopriva e Mari che spesso ne parlava e ne parla, l'aveva alimentata Ewan McGregor esordendo alla regia con il non perfetto, non del tutto aderente ma comunque ben fatto adattamento di Pastorale Americana, e lo ha fatto soprattutto QUESTA intervista, letta su un Vanity Fair di qualche numero fa, quasi premonitrice, quasi a mettere un epitaffio su una vita spesa a scrivere, a confrontarsi, a cercare le giuste parole.
Oggi, che Roth non c'è più davvero, e che in realtà nel reparto delle novità in libreria non c'è più da tempo, mi sento in colpa.
Colpa sua, che questo senso di colpa ha continuato a trasmetterlo e alimentarlo, facendomi diventare una perfetta protagonista dei suoi libri, chissà.
Per fortuna restano pagine da recuperare, titoli appuntati da sempre che possono avere il loro momento ora che pace è fatta, che di anni fra noi e quell'abbuffata ne sono passati, che la voglia è tornata e l'astinenza si fa sentire.
Finalmente.
Se ne riparlerà, quindi, fra qualche lontano ma non troppo, lunedì.
Grazie mille per il rimando al mio post!
RispondiEliminaScomparsa immane, poco da dire, e poco da dire (solo cattive parole, me le merito) sul fatto di aver letto soltanto Indignazione. La cosa positiva? Da recuperare ho tutto, tutto, e dal tuo posto capisco che il meglio devo ancora leggerlo. :)
Nonostante l'abbuffata mancano parecchi titoli anche a me, il bello è appunto che c'è tempo, e potrebbe nascere la nuova abitudine di un Roth all'anno :)
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