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3 settembre 2018

Venezia 75 - Napszàllta (Tramonto)

Una cosa che riesco a fare senza problemi qui, e mai a casa, è entrare in sala senza sapere niente, ma proprio niente, del film che andrò a vedere. È successo ieri sera per Napszàllta, film ungherese, di cui ovviamente manco sapevo dire il titolo. Le luci si sono spente e mi son lasciata trasportare ovunque il regista Làszlò Nemes volesse.


Per la precisione, a Budapest, nel 1913, accompagnando l'orfana Irisz Leiter a casa, dopo anni di lavoro come modista a Trieste, intenzionata a venire assunta in quella che era la cappelleria dei genitori. C'è un mistero che aleggia però in città e sulla sua famiglia, ci sono voci su un fratello che non ha mai conosciuto, assassino efferato, ci sono misteri in club per soli uomini. La seguiamo allora, cercare di scoprire e saperne di più, in lunghi piani sequenza in cui siamo alle sue spalle, mentre quello che sembrava un innocuo film in costume si trasforma in un delirio degno di Lynch. Carneficine, compravendite, assalti e tentativi di stupro, con Irisz che insiste, se ne frega del lavoro, delle amiche, del datore di lavoro, cambiando pelle. Trasformandosi, il film si fa confuso, si fa un sogno -o incubo- ad occhi aperti, dove i volti maschili si confondono, quelli femminili accecano di bellezza. Nemes sa come conquistare nonostante questi deliri, quella confusione, curando nei minimi dettagli la ricostruzione storica, la fotografia granulosa e gli abiti da invidia. Dietro o davanti le spalle di una protagonista poco espressiva e che incarna una strana eroina, mi sono lasciata cullare, senza capire dove potevo finire, quando tutto sarebbe finito. Tra fischi, applausi e perplessità, ringrazio per il viaggio.

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