Leggi "Dal creatore di This is Us" e pensi che troverai un film magari un filo smielato, ma dai grandi dialoghi da guardare con un pacchetto di kleenex a portata.
Poi però pensi che This is Us non sta procedendo al meglio, che questa terza stagione sta esagerando con le sue carte drammatiche e che Dan Fogelman non è poi così affidabile.
Leggi di un cast assortitissimo, che va da Olivia Wilde a Oscar Isaac, da Antonio Banderas a Annette Bening fino alle giovani Laia Costa e Olivia Cooke, e torni a fidarti, sono tutti belli, tutti bravi.
Ma poi pensi che forse sono tutti anche troppo belli, e che non è che siano attori che pescano sempre il titolo giusto. Anzi. Facciamo che non sono certo nomi affidabili.
Ma alla fine ti fidi, perché di un film zuccheroso, di una storia d'amore a più livelli, hai al momento tanto bisogno.
Inizi, e ti ritrovi Samuel L. Jackson come narratore.
Incontenibile, esagerato, assurdo, nel raccontare di un assurdo eroe.
E pensi: wow.
Perché tutte quelle critiche in America? Con un inizio così non si può sbagliare.
Ma si va avanti.
Lo si scopre inaffidabile il vecchio Samuel, non così eroico Oscar Isaac, ma umano e fragile, a raccontare della sua storia d'amore, del suo dolore a una psicologa.
E vieni catturata: dalla fragilità che mostra, dalla rabbia che esprime, da quei momenti smaccatamente romantici che nei suoi flashback mostra in compagnia di Olivia Wilde, come fossero un'altra versione di Jack e Rebecca.
C'è spazio pure per Tarantino, per dire, di uno strano entrare in quei flashback, e di nuovo, tra qualche prima lacrima e molti momenti di stupore, pensi che sì, Fogelman ti sta fregando un'altra volta.
Ma è lui il primo ad essere un narratore inaffidabile, perché proprio mentre ti ha preso e catturato al suo amo, mette da parte l'arrabbiata Olivia Cooke, cambia lo scenario, si sposta in Andalusia e inizia un'altra storia.
Aggiungendo altri elementi drammatici, intingendo nella passione per la soap opera degli spagnoli, andando un po' per luoghi comuni e compiendo delle scelte piuttosto azzardate per il casting. Si segue più stancamente allora la vicenda dei Gonzalez, poco c'importa, vorremmo tornare a New York, a capire cosa e chi sta narrando il tutto.
E quando nel finale lo si fa, anche se un po' di commozione è inevitabile, c'è la delusione.
La delusione per aver calcato troppo la mano, per aver esagerato negli incroci, nei drammi, senza poi nemmeno fare troppa attenzione agli anni passati, all'invecchiamento come alle tecnologie presenti.
Inezie, certo, ma se si notano è perché il racconto ha mollato la sua presa magica, quella che all'inizio, con il ritmo dei dialoghi, c'era.
Allora le capisci le critiche che avevi letto e sentito, magari un po' più feroci del necessario, che del buono, tra l'analisi di Bob Dylan e della letteratura, c'è.
Ma finisce che la critica, in tutto questo, è più di Fogelman, più di Isaac e la Wilde, più della vita, l'unica affidabile.
Voto: ☕☕/5
Inizio con il botto, prosieguo intuibile e romantico. Abbastanza da sabotarlo, come hanno fatto gli americani? Nel suo piccolo, mi aveva intrattenuto questo Fogelman senza Pearson (ma non troppo).
RispondiEliminaQuando ha iniziato a perdersi mi è dispiaciuto tantissimo, perchè quell'inizio il botto ce l'ha davvero e si stava costruendo una bellissima storia. Come con i Pearson, ma anche esagerando gli si vuole bene.
EliminaPer me ci sono tutti i pregi e i difetti presenti anche in This Is Us.
RispondiEliminaIl finale è davvero esagerato, però per il resto c'è molto da salvare. Dan Fogelman sarà inaffidabile, ma è pur sempre un narratore. Cosa che non si può dire ad esempio di Alfonso Cuarón e del suo Roma, tanto esaltato dalla critica che ha massacrato questo, dove la narrazione è del tutto inesistente...
Arieccolo! La narrazione in Roma c'è, dilatata e lentissima, ma se Fogelman esagera e romanza fino all'impossibile, Cuaròn sta nella quotidianità, che significa anche quel nulla che poco a poco, però, cresce.
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