Non solo per quello che l'Olocausto è stato ed è.
Ma soprattutto perché negli anni si sono accumulati così tanti libri e film a tema, da risultare tristemente una ripetizioni di loro stessi, e ancor più tristemente poco appetibili per il pubblico che sembra essersi abituato pure a quello che l'Olocausto è stato.
Tra diari di Anna Frank e bambini con il pigiama a righe, ci sono eccezioni però.
Negli ultimi anni, una è stata per me Il figlio di Saul, che porta e fa sentire -con tutti i sensi: odore, tatto, stomaco compresi- l'orrore che è stato
Un'ora che va ridimensionato, visto che il fumetto di Art Spiegelman è uscito nel lontano 1986, riuscendo già allora a parlare di nazismo e di memoria in un modo nuovo e diverso.
E non solo per il mezzo che usa -il fumetto- in cui gli esseri umani diventano animali, in cui gli ebrei sono topi, i nazisti dei gatti, i polacchi dei maiali e gli americani dei cani. Con strisce piene di orrore e di bellezza allo stesso tempo.
Ma soprattutto per il modo in cui ne parla.
Nel mostrare la ricerca della storia giusta da raccontare, che è infine quella della sua famiglia: di un padre che ad Auschwitz è sopravvissuto, una madre che ha deciso di suicidarsi nel '68.
E delle conseguenze di entrambe queste vicende.
Si mette in primo piano da sé, Art, come figlio che vuole conoscere questa storia, che registra e intervista il padre su quanto avvenuto, cercando così anche di capirlo. Di venire a patti con il senso di colpa che prova nel non riuscire a sopportarlo, di trovare un senso alle sue manie, al suo essere così chiuso ai suoi occhi.
Perché se hai patito la fame, ma la fame vera, non vorrai più buttare una briciola di pane.
Perché se hai dovuto vendere ogni cosa, cercando qualcos'altro ancora da vendere, non vorrai più buttare niente, e quello che troverai -un pezzo di rame per strada, un buono sconto- non lo vorrai certo sprecare.
Rendendo così la vita impossibile a una nuova compagna e pure a quel figlio che queste manie cerca di razionalizzarle ma, si sa, non è facile.
Art parte dall'inizio, chiede al padre di raccontargli la sua vita e la disegna.
Vuole conoscerlo, vuole sapere della madre, di quel fratello che non ha mai potuto conoscere e con cui si sente da sempre in sfida. E da sempre in svantaggio, non avendo la santità che la morte crea.
Ma Art si ferma più volte a chiedersi quanto sia giusto venire a sapere solo ora queste cose, e sfruttarle pure in un fumetto che sta avendo successo, con cui mette alla berlina il suo rapporto con quel padre, quello che ha vissuto e quello che è ora.
In queste sue confessioni, in quelle tavole ricche di particolari, di commozione e di orrore, sta la diversità di Maus.
È un racconto personale in cui c'è spazio per il senso di colpa di essere sopravvissuti e di essere pure figli di un sopravvissuto, con tutto il carico che questo comporta.
C'è quello che spesso manca a libri e film che nel voler essere -giustamente- educativi e informativi, dimenticano la realtà dei fatti. La realtà delle sensazioni.
Non qui, dove ogni scena, ogni mezzo per sopravvivere, ha il peso di quel tratto nero che lo racconta.
Ce l'ho in casa, ma mi ha sempre spaventato un po'. Devo leggerlo assolutamente però.
RispondiEliminaDoloroso e difficile lo è davvero, quell'espressione ormai abusata di "pugno allo stomaco" qui calza. Ma tra tanti film tutti uguali, tanti libri anche biografici che non riescono a imporsi, qui ci riesce con la forza dei disegni e del racconto di un figlio.
EliminaIl collegamento non l'avevo fatto, sì, un'ottima annata l'86 per i fumetti.
RispondiEliminaIo continuo ancora a pensare a quanto poteva essere diversa tutta la storia se fossero rimasti nel rifugio, e a tutte le fortune nell'immensa brutalità del campo che ha avuto Spiegelman padre per riuscire a sopravvivere. Fa mettere tutto in prospettiva.
Ho letto e studiato molto sull'argomento.
RispondiEliminaGrazie per la segnalazione. Cercherò il volume.
Un modo diverso, nuovo (per quanto sia uscito ormai 30 anni fa e più) e comunque doloroso di parlare dell'argomento.
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