Merricat e Constance hanno sempre vissuto in un castello.
A Blackwood per la precisione.
Ci vivono ancora, ora, che sono malviste dall'intera cittadina sottostante, che le sbeffeggia, le bullizza, le evita.
Il fatto è che i genitori delle sorelle Blackwood sono morti avvelenati in un'infausta cena sei anni fa, lo zio è sopravvissuto rimanendo paralizzato e degli omicidi è stata accusata Constance, poi rilasciata per mancanza di prove.
Ma poco importa: la colpevole, la strega, per tutti è lei.
Così, Constance non lascia più quel castello, si impegna ad essere una casalinga perfetta, stando ai fornelli, pulendo ogni angolo, curando il giardino.
Di fare provviste è incaricata Merricat, che le affronta con ansia e terrore, affidandosi ad amuleti, incantesimi, portafortuna, da sotterrare o inchiodare negli alberi.
Tutto cambia quando nella tenuta arriva il prozio Charles, che spezza gli equilibri.
Si invaghisce di Constance, la seduce e la ammalia con facilità, promettendo viaggi romantici in Italia, anelando in realtà a un'eredità che lì sembra sprecata.
Poco può quell'altro prozio perennemente fermo a quella infausta sera, che cerca di scrivere e descrivere in un romanzo incompiuto.
Poco può Merricat, che cerca di avvertire Constance, di mettersi in mezzo ai piani di Charles.
Finché una cena che sembra speculare a quella di 6 anni fa si ripresenta, dando un esito diverso ma facendoci finalmente capire la verità.
Meglio dirlo subito: We Have Always Lived in the Castle non è l'horror che ci si aspetta.
Non è una copia di quel Hill House che ancora non ho digerito, che ancora consiglio a chiunque.
Anche se la penna di partenza -quella di Shirley Jackson- è la stessa.
Qui siamo più dalle parti del dramma, e l'ambientazione anni '60 fa sicuramente la differenza.
Ci sono tragedie familiari, ci sono mostri che non si nascondono dietro i meandri di quel castello/tenuta, ma fra la brava gente che sparla in paese, dietro i sorrisi amorevoli.
Letto così, allora, We Have Always Lived in the Castle sembrerebbe una bellissima disanima di quello che fa davvero paura ieri come oggi: la realtà contro il paranormale.
Ma purtroppo Stacie Passon non rende bene nemmeno questo punto, creando un film parecchio disequilibrato dove brillano solo le prove di Taissa Farmiga e Alexandra Daddario brillano tanto quanto la bellezza di Blackwood.
Non bastano, però, a far mantenere nei giusti binari la trama.
Si spazia, si prende tempo, si creano confusioni di troppo.
E ovviamente ci sono le aspettative da tenere in conto, che ricercavano un po' di brividi, qualche atmosfera più sostanziosa, e invece si devono accontentare di un altro giardino da invidiare, di rifarsi gli occhi con Sebastian Stan, dimenticando in fretta questa permanenza.
Voto: ☕☕/5
Secondo me gli equilibri mancano anche nella sopravvalutata Jackson.
RispondiEliminaQuindi, a sorpresa, ho preferito il film.
A Berlino avevo la possibilità di conoscerla meglio con il film biografico "in uscita" ma sapendo che sarebbe stato fra i più facili da reperire gli ho preferito altro. La conosco solo per Hill House e i consigli di lettura di King. Prima o poi potrò approfondire.
EliminaNonostante la bellezza del cast, e no non parlo di Sebastian Stan ahahah, mi sa che continuo a passarlo...
RispondiEliminaSe nemmeno la Daddario e le sue grazie (qui, però, molto castigate) ti convincono, puoi pure passare ;)
EliminaIl problema è che su Prime è solo in italiano... non capisco perché. Purtroppo però mancano i brividi, manca la sostanza. Lo si vede e lo si dimentica.
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