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13 luglio 2020

Il Lunedì Leggo - Vincoli di Kent Haruf

Torno ad Holt, e scopro le sue origini.
Torno lì dove avevo conosciuto Addie e Louis ma soprattutto, dove avevo conosciuto Kent Haruf.
Scrittore polveroso, solido, che con fare secco racconta le vite di una cittadina immaginata ma permeata dai ricordi della sua infanzia, della sua vita in provincia.
Holt è così, e alle sue origini era davvero solo polvere, ettari di terreni in vendita per pochi dollari, case costruite in velocità e con fatica con qualche asse di legno.
La vediamo crescere e prosperare, Holt, ma vediamo anche come diventa un limite, con i suoi confini invalicabili per Edith Goodnough.



Lei, figlia maggiore di un matrimonio infelice, lei figlia di una madre che ha continuato a sognare di tornarsene in Iowa, lei costretta ad essere madre e moglie, sotto gli ordini di un padre despota che non concede dolcezze o carezze, lei sorella di chi è sottomesso come lei, ma diversamente da lei decide un buon giorno che è troppo, che basta, se ne va.
Lei vicina soprattutto, di un ragazzo poi uomo che l'aiuta e che la chiede in moglie, che deve continuare a vederla spaccarsi la schiena su quei campi, fra mucche e galline e orti, con un padre dai moncherini affilati e dalla lingua ancor più violenta, cercando come può di salvarla, lasciando poi il testimone al figlio.
Ed è lui, Sanders Roscoe, a raccontarci la storia di Edith, che parte con un mistero che si svela poco a poco, un'accusa e un processo a pendere sulla sua testa.
Cos'è successo allora, di chi sono quelle tombe dei Goodnough nel cimitero di Holt?
Scoprirlo è un lungo viaggio nella memoria, con anni che passano tutti uguali, e improvvisi cambi e ritorni e morti.
Anni che passano e che non si fanno sentire, anni che passano e segnano una vita intera, fatta di reclusione e di privazioni.
In nome di cosa?
Della famiglia?
Del dovere?
Della terra?
Sono le cose che mi fanno più male: gli anni sprecati.
La vita che se ne va e a cui bastano poche righe per essere riassunta.
Certo, il fatto che queste righe le scriva Kent Haruf fa la differenza.
Perché le impreziosisce di una loro dignità, di una bellezza malinconica difficile da spiegare.
Parlando non solo di Edith, di Lyman e di Sanders che si fa narratore affidabile e affabile, ma di Holt tutta, con piccoli aneddoti, personaggi strampalati e conosciuti, tradizioni e leggende che la caratterizzano.
Chiamando in causa noi ascoltatori di questa storia che resta sospesa nel finale, rendendolo ancor più doloroso.
E si piange, tantissimo, in righe concise che inquadrano un carattere, una vita intera.
Che mi ricorda della mia infanzia fra i campi senza sapere la fatica che richiedono, le privazioni, le vacanze inesistenti, le pause impossibili.
Penso a nonni e bisnonni, a vite passate così.
A coltivare e raccogliere, ancora e ancora.
Aspettando invani ritorni, brevi momenti di felicità.
E mi ritrovo a piangere. Come se Edith fosse anche una mia parente.
Sono tornata ad Holt, ed è stato come tornare a casa.

2 commenti:

  1. Uno dei miei Haruf preferiti.
    Ed era un esordio.
    Non ci si crede!

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    1. Più compatto delle anime notturne, adesso non mi resta che andare con la Trilogia e non vedo l'ora/rimpiango già di finire gli Haruf a disposizione.

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