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24 luglio 2020

L'Hotel degli Amori Smarriti

Andiamo al Cinema (a noleggio)

Camera 212.
È qui che si rifugia Maria quando il suo matrimonio rischia di finire.
Colpa sua, che alla mancanza di contatto e di desiderio con quel marito perfetto, si è lasciata andare con svariati studenti, l'ultimo -Asdrubal Electorat- dal nome troppo erotico per lasciarselo sfuggire.
Che c'è di male, dice lei?
Tutto, dice lui.
Che le urla di andarsene.
Che non si fida più.
Che si sente -giustamente, ovviamente- tradito.
Lei se ne va.




Stanza 212.
Proprio al di là della strada, sullo stesso piano di quel loro bellissimo appartamento parigino.
E lo spia, e ricorda.
Si ritrova così a dividere la stanza con suo marito, sì, ma quando aveva 25 anni.
A interrogarsi entrambi su cosa è andato storto, su come possono andare avanti.
Arriva poi l'ex amante di lui: stessa età, come se gli anni non fossero passati, come se lei non lo avesse lasciato e formato per essere il marito che è, come se lei non se ne fosse andata da Parigi, svanendo nel nulla.
E infine arriva la sua volontà che ha le sembianze di Charles Aznavour, una madre bacchettona e uno ad uno tutti quegli amanti che Maria ha avuto.
Tutti lì, in quella camera 212 che secondo i titolisti italiani è quella degli amori smarriti, ma che in realtà è la camera dove Maria cerca di fare ordine, di capire le sue scelte, la sua mancanza di rimorso, e se dell'amore c'è ancora per Richard, che era così bello, così passionale da giovane e ora è lì che rinfaccia tradimenti e fantastica su quel suo primo amore.


Sembra di stare a teatro.
Con il palco diviso in due, fra quell'appartamento e quella stanza d'hotel che si specchiano e si rimbalzano le scene.
I dialoghi, i monologhi sono quelli leggeri ma profondi, appuntiti e romantici che ti aspetti sul palco.
Riflessivi ma con dell'ironia.
Sarà che alla regia c'è Christophe Honoré, ma il cinema emerge comunque in modellini di quella via che si presentano come tali, in movimenti di macchina dall'alto e in una fotografia sempre sensuale, che gioca sui colori caldi e freddi di quella camera.
E poi c'è lei, Chiara Mastroianni, bellissima e perfetta nel mostrarsi con generosità a 48 anni,  giustamente premiata a Cannes lo scorso anno.
Nel mostrarci le varie fasi del suo esame di coscienza, nel suo lasciare spazio, immaginare la vita di suo marito senza di lei, nel suo lasciarsi andare ai ricordi e al passato c'è tutta la stranezza libertina dei film francesi, ma anche un pizzico di follia che a me -per deformazione professionale- ha ricordato Charlie Kaufman e gli strani giri che fa fare alla mente dei suoi personaggi per portarli a capirsi.
Qui succede tutto nell'arco di una notte, una notte magica (i titolisti inglesi hanno per l'appunto scelto On a magical night) in cui Rosebud diventa il bar/rifugio i cui concedersi un drink, in cui l'amore lo si può ancora perdonare, ritrovare, amare stando lontani pur vicini, se la camera è la 212.


Voto: ☕☕/5

2 commenti:

  1. Mi meraviglio un po' che non hai citato Room 104, perché da quello che vedo e leggo ne sembra una puntata, il che non vuol dire però che mi interesserebbe vedere.

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    1. Hai ragione, e sì che durante la visione c'ho pure pensato. Mi hai ricordato poi che quella serie l'ho lasciata alla prima stagione e mi mancano altre "stanze" da scoprire. Questa è però decisamente francese.

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