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7 ottobre 2020

The Boys in the Band

 Andiamo al Cinema su Netflix

Metti nove amici riuniti per un compleanno.
Il festeggiato come sempre è in ritardo.
Il padrone di casa è in perenne stato d'ansia.
L'eleganza non manca, la regina esagerata neppure, la coppia che si lancia frecciatine arriva carica di veleno, mentre quello che non vuole più saperne della città è arrivato anche con troppo anticipo.
C'è l'imbucato, poi, a scombinare  piani e mood: a portare a galla risentimenti, rancori, paure e a far deragliare la festa.
Prima però via di battutine, di occhiatacce, di continui commenti e riferimenti e stoccate e innocenti giudizi.
Prima però un po' di musica, quella da ballare, con cui scatenarsi, con cui accogliere il regalo del festeggiato che tarda ancora ad arrivare.
Poi, quando questo arriva nel bel mezzo di un litigio, nel bel mezzo di un deragliamento, la festa prende un'altra piega.
Un gioco che gioco non è se di mezzo ci sono i sentimenti e il passato doloroso di tutti. Pure il presente a ben guardare.
Un gioco che, come già Perfetti Sconosciuti ha mostrato, non può non causare danni se di mezzo ci sono un telefono e delle verità da confessare.


Così, The Boys in the Band cambia.
Il tono eccessivo e chiassoso dell'inizio si fa pieno di tensione.
Diventa davvero un Perfetti Sconosciuti ante-litteram, venuto prima, ambientato in quella fine anni '60 in cui per avere un numero si doveva richiederlo al centralino.
Ma il risultato è lo stesso.
Amicizie che rischiano di rompersi, rapporti che vengono messi alla prova.
E quel film quasi troppo sguaiato, parlato, esagerato nei suoi dialoghi-fiume, si prende una pausa e dà il meglio di sé.
Lo dà pure Jim Parsons, ispirato, velenoso come il suo ruolo richiede, capogruppo di un cast importante, composto non solo da affezionati e protetti del signor Ryan Murphy che si tiene stretto il suo contratto milionario con Netflix producendo l'ennesimo progetto, partendo da un testo teatrale che era già diventato un film (il primo a parlare apertamente di omosessualità a Hollywood) diretto da William Friedkin da noi uscito come Festa per il compleanno del caro amico Harold.



Joe Mantello regista pure del revival teatrale resta fedele all'origine del testo costruendo un set d'interni curatissimo e da cui poco si esce, in cui la macchina da presa volteggia e si sofferma.
Il cast sensazionale è quello che era già insieme sul palco di Broadway composto dal bellissimo Matt Bomer, dall'inquietante Zachary Quinto e poi da Andrew Rannells, Charlie Carver, Robin de Jesús, Brian Hutchison, Michael Benjamin Washington e Tuc Watkins, tutti attori apertamente gay, aprendo il film ad un altro livello, fondamentale a raccontare una storia di una comunità che deve fare i conti con ferite, appartenenza, accettazione e passato.
Lo fa esagerando nella prima parte, lo fa affondando le unghie sul testo e sui suoi personaggi nella seconda.
L'equilibrio onestamente manca: per come con l'arrivo del festeggiato Harold, Donald se ne resta nell'ombra, lasciando al solo Michael condurre la serata nelle sue zone più buie, e per quel finale sospeso, senza una verità, senza una definizione di certi rapporti e identità.
Quasi un peccato che questo appartamento, questa serata, questo film non prenda subito la piega giusta, facendosi aspettare come il più importante dei festeggiati.
Ero pronta a far pace con Murphy, ma almeno posso ringraziarlo per le voci che continua a farci ascoltare.


Voto: ☕☕½/5

7 commenti:

  1. L'equilibrio non l'ho trovato neanche io, ma sospetto sia un difetto del testo stesso, ormai troppo datato. In ogni caso, ho apprezzato e Parsons mi ha sorpreso: personaggio difficilissimo, fragile, spregevole. Non mi è dispiaciuto, affatto, ma ha i pregi e i difetti degli adattamenti fedeli. Mantello straordinario nel cast di Hollywood, mi sarebbe piaciuto vederlo anche tra gli attori.

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    1. Parsons mi ha saputo stupire, e con Hollywood non visto arrivavo ancor più impreparata alla sua metamorfosi.
      Apprezziamo la fedeltà, ma forse svecchiare un po' quel testo, o alleggerirlo in quella prima parte, avrebbe fatto la differenza.

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  2. Io faccio sempre fatica a capire il senso di queste operazioni: è praticamente una fotocopia del film di Friedkin, perfino le inquadrature sono uguali. Una versione che aggiunge nulla all'originale, che nemmeno si sforza di buttare uno sguardo al presente. In ogni caso, di gran lunga migliore (ed emozionante) la versione teatrale, che ho avuto la fortuna di vedere lo scorso autunno: davvero tutta un'altra storia.

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    1. Per assurdo, questa volta il progetto ha senso per me perché l'originale di Friedkin non lo conoscevo minimamente e diciamo che a differenza di tanti remake o riproposizioni, qui si è pescato un titolo non così tramandato che fa bene riscoprire viste le tematiche e la comunità protagonista. Poi di mezzo pure il revival a Broadway con questo identico cast, insomma, come se si partisse da lì rispetto alla versione cinematografica.
      La curiosità di vederlo, quell'originale, c'è, e vista la mancanza di titoli interessanti non escludo di vederlo a breve che è comodo comodo su RaiPlay.

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  3. Non so fare paragoni con le altre versioni, che non conosco, però ho trovato il crescendo notevole. La prima parte non mi aveva coinvolto per niente, poi a un certo punto la storia parte e la cattiveria la fa da padrona.
    Una cinquantina d'anni fa un'opera del genere doveva essere potentissima, però ancora oggi mantiene una sua forza.

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    1. Quella prima parte ha visto il migliore amico andarsene perché annoiato e infastidito. La seconda me la son vista da sola e lui non sa cosa si è perso, il crescendo è davvero notevole ed è quello che alla fine si ricorda.
      Come sopra, vedrei l'originale anche per capire come e quanto è invecchiato. E quanto si era stati avanti per quegli anni.

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  4. Film girati in un unico luogo e con lo stesso gruppo di attori sono sempre in cima alla lista dei miei preferiti, quindi con la creatività che questi tempi richiedono, potremo anche trovarci davanti a titoloni molto interessanti in futuro.
    In questo caso la prima parte è piuttosto insopportabile, ma poi si entra nel vivo e nella cattiveria e tutto cambia.
    La versione di Friedkin mi manca, magari più avanti, per fare un confronto, potrei pure recuperarlo. Quinto esagera o Harold è pure in originale così?

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