17 luglio 2021

First Cow

Andiamo al Cinema su Mubi

Se mi sono messa in piena estate a recuperare la filmografia di Kelly Reichardt è merito di Eve.
Se ho trovato una nuova voce da venerare e seguire, da ringraziare per la sua unicità e il suo sguardo, il merito è di una mucca.
La prima mucca, per essere precisi, arrivata nel lontano 1820 fra le terre in via di colonizzazione dell'Oregon.
Una mucca che rappresenta per due immigrati e vagabondi come King-Lu e Cookie un'autentica vacca d'oro: la speranza per potersi permettere il futuro che hanno sempre sognato.
Ma andiamo con ordine.


Anzi, no.
Che il film,  sapendolo ambientato negli anni dell'epopea americana, inizia in modo splendido: ai giorni nostri, dove la giovane Alia Shawkat a spasso con il cane si imbatte in un teschio, e poi in un corpo, e poi in un altro ancora: distesi assieme, uno affianco all'altro. Chi sono? Qual è la loro storia?
E così si torna indietro, si torna in quegli anni fatti di avamposti e di spedizioni, di lunghi viaggi dove il cibo può scarseggiare, di saloon dove bere fino a dimenticarsi i proprio guai e dove stringere amicizia.
Cookie e King-Lu si capiscono al volo: gli occhi buoni di un cuoco che vorrebbe aprire un hotel, il fiuto imprenditoriale di un immigrato cinese che vuole riscattarsi.
L'occasione è il latte dell'unica, la prima, mucca della zona. 
Di proprietà di quel capitano inglese che non può bere il suo the senza la panna. Ma in tempi di magra, quanto può valere una singola frittella, fatta con quel latte?
L'impresa per piccola che sembra, è un grande passo per chi non è abituato a farcela per scorciatoie, passando per il crimine.
Con l'ingordigia e l'avarizia che avanza, a rischiare di rovinare tutto.


Siamo di nuovo in Oregon, siamo di nuovo in un passato di esplorazione e destini da scrivere, ma questa volta Reichardt alza tiro, arrivando a sfiorare le due ore di durata.
Si prende tutto il tempo per approfondire i suoi personaggi, le loro avventure, i loro sogni da realizzare.
L'emblematico titolo del racconto del solito fido Jonathan Raymond da cui First Cow è tratto, Half-Life, la dice già lunga.
Racconta di una vita vissuta a metà, aspettando che quei sogni si avverino, che gloria e successo arrivino. Sfiorandoli.
Ma una vita vissuta e conclusa nel segno dell'amicizia.


Ora capisco com'è che per molti critici First Cow è stato eletto miglior film dell'anno.
Pieno di umanità che chiusa nei suoi 4:3 Kelly Reichardt coglie, regalandoci scene che sembrano uscite da vecchi dipinti, mostrando il basso e l'alto, il bello e il brutto, e facendoci conoscere lo sguardo dolce di John Magaro, che chi se lo scrolla più di dosso?
Ancora una volta una storia circolare, che racconta un pezzetto di vita, di amicizia, di confronto.
Quando dico che basta poco per fare un buon film, dico questo: i personaggi, l'occhio, la scrittura fatta anche di lunghi silenzi pieni però di significato.
E quanti ce ne sono in questo First Cow.

Voto: ☕☕/5

6 commenti:

  1. L'estate mi ha tolto la voglia di vedere, di approfondire. Ma non appena torna, questo sarà il primo recupero!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Lo tenevo d'occhio dai tempi delle classifiche. Buttarmi al recupero della filmografia della Reichardt è stato un bel modo per arrivarci, finalmente.

      Elimina
  2. Ho amato questo film perché amo tantissimo le mucche. Mi piace tantissimo accarezzarle e farmi leccare le mani.

    RispondiElimina
  3. Un bel film. Però un pochetto noioso per i miei gusti.
    Diciamo che ci mette un po' a carburare. Un'ora di introduzione in cui non succede un granché "forse" è eccessiva. Poi però diventa bello, eh. :)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Stranamente non mi è pesato, nemmeno nei suoi silenzi. Ha una sua poesia e capisco i tanti critici che l'hanno acclamato. Migliore dello scorso anno, però, no e nemmeno di questo.

      Elimina