28 agosto 2021

Dune 1984 - Jodorowsky's Dune

Come ci si prepara al nuovo Dune?
A quel Dune tanto atteso non solo per un cast che vede protagonisti Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Zendaya, Charlotte Rampling, Jason Momoa e Javier Bardem, ecc., non solo per la regia di Denis Villeneuve, ma anche per quel che significa Dune, per il cinema?
Una fonte di dissapori, perché il romanzo di Frank Herbert, o meglio la saga da cui è tratto, è sempre stato un sogno e un incubo per i registi.
E anche per gli appassionati che vedevano in questo fantasy qualcosa più grande di Star Wars e che al cinema poteva diventare pure qualcosa di meglio.


Ne sa qualcosa Jodorowsky.
Il suo, resta il progetto irrealizzato più famoso della storia del cinema ora che Terry Gilliam con il suo Don Chisciotte lungo quasi vent'anni ce l'ha fatta.
Un progetto che nasce dalla passione e dalla pazzia, con la consapevolezza di progettare un film-Dio, un film che poteva essere una rivelazione per l'epoca, un'esperienza mistica, religiosa, capace di cambiare le giovane menti.


I nomi coinvolti, fanno esplodere la testa ancora adesso: a livello tecnico con in primis Moebius (quel Moebius) a realizzare gli storyboard preparatori che fanno immergere nel mondo di Dune, Hans Ruedi Giger (quello di Alien) alla scenografia, e poi Salvador Dalì, Mick Jagger, Paul Jodorowsky nel cast, con quest'ultimo chiamato ad allenarsi ogni giorno per due anni nelle arte marziali.
E poi, più niente.
Mancano i soldi, gli studios non si fidano, Jodorowsky non sembra così affidabile o abbastanza di richiamo, quel suo progetto che su carta è una meraviglia, su carta resta. In tomo voluminosissimo e ora da collezione che descrive scena per scena, inquadratura per inquadratura quello che non è mai stato.
Ma da cui Hollywood saccheggia e prende spunto.
Omaggia e cita.


Poi, in realtà, arriva Raffaella De Laurentiis e tutto questo progetto lo mette in mano a David Lynch.
Che non è ancora il David Lynch di oggi.
Ha solo Ereserhaed e The Elephant Man in curriculum e si trova a dover adattare una storia più grande di lui, o meglio, a far fronte alle esigenze dei produttori per quella storia che sono più grandi di lui.
E ne viene fuori un film brutto.
Sì, brutto.
Indifendibile.
E non solo per effetti speciali posticci (visto cosa Lucas o Kubrick sono riusciti a fare prima di lui in galassie e spazi lontani), ma anche per un cast che non c'azzecca e per un modo di raccontarla questa storia che lascia fuori lo spettatore.


Come ho trovato scritto su Wikipedia sentendomi in parte giustificata nel mio disorientamento, la critica Janet Maslin disse: "Molti dei personaggi di Dune sono sensitivi, il che li mette nella posizione unica di essere in grado di capire ciò che accade nel film".
Perché la storia, quella di un pianeta sfruttato, quella di imperi in lotta e di un Messia chiamato a liberare uomini che fin dal nome -Fremen- dovrebbero essere liberi, è interessante.
Lo è quella spezia che inebria e mantiene immortali, lo sono quei vermi che ricordano Tremors, lo sono quegli occhi blu splendenti e quel rapporto di potere in sfida.
Ma si resta indietro, non si capisce, ci si ritrova nel mezzo della storia nonostante la presentazione iniziale di Virginia Madsen.


Sarà poi che Kyle MacLachlan è il Paul più sbagliato di sempre, non sembra giovane, non sembra un Messia, non ha la forza del protagonista buono. Sting è invece una caricatura per cui si prova più pena che divertimento, Patrick Stewart confonde le acque abituati a vederlo come siamo sull'Enterprise.
Di questo cast salvo solo Sean Young, bella e incisiva.
Confuso e assurdo, sbagliato sotto molti punti, viene da chiedersi come sarebbe stato questo Dune con Lynch in pieno controllo e con il Lynch che conosciamo oggi.


Così come viene da chiedersi se il progetto folle di Jodorowsky sarebbe davvero stato quello che sperava o se le sue parole a volte troppo strafottenti non avrebbero trovato il consenso del pubblico e cambiato le giovani menti come sperava.
Resta un documentario, bellissimo e molto di parte, a raccontarcelo in cui per mia gioia fa capolino pure Amanda Lear.
Resta la possibilità di rimediare, affidata a Villeneuve già capace di creare un sequel non richiesto che ha superato l'originale e capace di spaziare per generi senza mai deludere.
La risposta la si avrà la prossima settimana a Venezia.
Posso dirmi pronta a tornare su Arrakis.

4 commenti:

  1. Sì, una mezza delusione anche per me con il film di Lynch, e mi aspetto perciò tanto da Villeneuve, che capace è capace..

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  2. Vado pazzo per le storie di produzione e questo film/documentario è uno dei titoli più belli degli ultimi anni, sono felice che sia finalmente uscito soprattutto perché, chi avrà voglia di guardarlo, avrà modo di capire i vari meriti dietro alle tante paternità di "Alien", film nato da una costola del “Dune” mancato. Ridley Scott da decenni lavora ai fianchi per riscrivere la storia ed essere ricordato come l'unico papà di “Alien” ben venga quindi poter sentire la storia dal punto di vista e dalle parole di quell'adorabile matto di Jodorowsky. Il suo “Dune” sarebbe stato sicuramente spettacolare, folle ma spettacolare ;-) Cheers

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  3. Talmente atteso sto Dune che mha già fracassato...

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  4. sapevo che ce ne fosse stato uno ma non sapevo avesse floppato così tanto
    invece, dopo tutte le apsettative create sul nuovo dune mi aspettavo grandi cose ma invece il trailer mi ha ricordato star wars (nuova trilogia) in primis e i film adolescenziali di scoperta identitaria stile però hunger games in secundis

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