Pagine

24 settembre 2021

Un 32 août sur terre

È già Ieri -1998-

È al cinema con quel colossal rischioso di Dune, ha osato fare un sequel di Blade Runner riuscendo ai miei occhi a farne un capitolo migliore, ha spaziato dalla fantascienza al thriller, dall'azione ai drammi psicologici.
Ma com'è iniziata la carriera di Denis Villeneuve?
Quel regista che per me è sinonimo di solidità e che mi aveva folgorato, letteralmente folgorato, con La donna che canta e che mi aveva spinto a recuperare quella perla in bianco e nero di Polytechnique che credevo erroneamente un suo esordio?
Ha esordito, in realtà, con Un 32 août sur terre.


Un piccolo film, canadese, strano.
Così strano che all'inizio la mente corre subito a Lynch.
Ancora lui, quasi fosse un destino.
Perché Simone ha un incidente d'auto, la memoria a breve termine compromessa, una serie di impegni a cui si sottrae con bugie, fino a trovare Philippe, il suo migliore amico.
E qui il film diventa altro, abbandona i toni misteriosi di Lynch virando verso un dramma dei sentimenti dove non manca una certa leggerezza, con una coppia di amici che chiede di più l'uno all'altra, forse però troppo.
Il tutto nel deserto bianco di Salt Lake City, o nella bianca stanza di un hotel stile giapponese, o nell'asettica stanza bianca di un ospedale.
Il film si trasforma così in un coro a due, in due anime tormentate dall'amore e dal desiderio.


E quasi dispiace che l'ambiguità, quell'agosto infinito che non vuole smettere mai, ceda il passo a settembre, a una sceneggiatura più lineare.
Ma per fortuna, c'è la regia.
Che come ad ogni esordio che si rispetti gioca, si diverte, esagera e trova nuove soluzioni soprattutto in fase di montaggio per dare un ritmo, un'impronta, unici al suo racconto.
Visivamente parlando, Un 32 août sur terre sembra davvero di un altro pianeta. 
Più umano, più reale di un Arrakis, il mondo bianco che inquadra Villeneuve non ha bisogno di effetti speciali per colpire.
Bastano due protagonisti fascinosi ed espressivi come Pascale Bussières e Alexis Martin, bastano i loro sguardi, il loro addormentarsi negandolo.


E il film, dall'alto dei suoi vent'anni, funziona ancora, a dimostrare che non sono i mezzi a fare il regista, è il suo occhio, la sua predisposizione naturale a ricercare e raccontare la bellezza fin dall'esordio.

Voto: ☕☕½/5

2 commenti:

  1. Bello sì, purtroppo non riuscì a prendermi, ma l'esordio rimane notevole ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Diciamo che l'occhio Villeneuve lo aveva allenato fin da subito.
      Sono stata catturata più dal livello tecnico che dalla storia.

      Elimina