Oggi dal Lido spazio a documentari musicali, quasi documentari e donne sull'orlo di una crisi di nervi:
À Plein Temps
Corre Julie.
Da appena si sveglia.
Si alza dal letto e deve preparare i figli, deve combattere contro una caldaia che fa le bizze, deve lasciare i figli dalla vicina e correre in stazione. Deve sperare che il sciopero non blocchi il suo treno per Parigi, e poi la metropolitana e timbrare in orario, pulire le stanza di un albergo di lusso, cercare di sostituire un turno, di arrivare in tempo a casa per poi riprendere tutto uguale il giorno dopo.
Stiamo una sola settimana nella sua vita, e sembra troppo da sostenere.
Soprattutto in tempo di scioperi improvvisi, con quel colloquio che diventa un ostacolo e rischia di farla licenziare senza sicurezza di passarlo.
E poi, c'è il compleanno del figlio da organizzare, un ex che non passa gli alimenti.
Non ha tregua Julie, e non ce l'abbiamo noi a seguirla nei suoi tentativi di tenere tutto a galla, con il tempo che manca e non lascia respirare.
Il paragone, scontato, è con il cinema sociale di Ken Loach. E quello dei Dardenne.
Ma il pensiero corre anche al Sole Cuore Amore italiano, con la paura che un finale tragico possa arrivare anche qui.
Proprio il finale lieto, ma forse non troppo, è il punto debole del film di Eric Gravel, con cui Laure Calamy punta con facilità ad un premio, brava e perfetta com'è.
True Things
In sintesi: una donna alla disperata ricerca dell'amore crede di averlo trovato in un uomo che la sfrutta, la lascia, la umilia leggendo male ogni suo segno.
Rischiando il lavoro e le amicizie pur di credere a lui, che inaffidabile e consapevole del suo fascino e del suo potere, ne approfitta.
In realtà, tante scene di sesso, tante scene con una Ruth Wilson imbronciata e spaventata, tante scene con un Tom Burke che conferma la sua faccia da sberle.
Viene da chiedersi com'è che la Wilson se ne sia andata da The Affair per le troppe scene bollenti visto quanto si concede qui in un ruolo che sembra identico, ma in realtà, il film è così insipido da non meritare nemmeno queste riflessioni.
Il finale di rinascita senza troppa preparazione, poi,
non glielo si perdona.
Becoming Led Zeppelin
La nascita della band che con i suoi suoni ha rivoluzionato il rock.
A raccontarla, gli stessi protagonisti.
A riviverlo noi, grazie a un lavoro di ricerca che ci riporta le performance di gioventù e di festival passati che fanno ancora accapponare la pelle.
E allora, com'è che l'entusiasmo non è a mille?
Perché in questo strano ibrido dove lo spazio in 137 minuti è in gran parte dedicato ai live, la storia è raccontata in modo didascalico. Con i quattro che si passano la parola, commentando le stesse cose.
Qualche guizzo, su episodi particolari, su momenti emozionanti che ancora fanno commuovere e su rivisitazioni di quei concerti c'è.
E viene da chiedersi com'è che non lo si sia voluto fare tutto così, più personale e intimo. Più moderno, pure.
Che peccato.
Hallelujah: Leonard Cohen, a Journey, a Song
Ha capito come fare, invece, quest'altro documentario che esplora la carriera di Cohen attraverso la sua canzone più famosa.
Come ci è arrivato, quanti versi ha scritto, cosa ne pensa delle tante cover fatte, con Jeff Buckley che ovviamente entra in scena a spezzare ancor più il cuore.
E poi, i retroscena di inizio carriera, con l'album che contiene Hallelujah a non essere accettato dalla casa discografica americana, e la rivincita, poi per le vendite successive.
I concerti, il ritorno live di fine carriera.
Il materiale è tanto è l'emozione arriva, anche perché quel poeta di Cohen, pungente e tagliente, ci sapeva fare nelle interviste.
Così dovrebbe essere un buon documentario, che segue una storia, una ricerca, e la porta a termine.
Anche se l'universalità e la bellezza di Hallelujah restano difficili da spiegare.
Il Buco
Sembra un documentario, ma non lo è.
Può sembrare un film difficile, ostico, nei suoi silenzi, nell'assenza dei dialoghi sostituiti da fischi, e invece ci si emoziona.
La storia è la ricostruzione di una spedizione di speleologia del 1961, a partire da un buco nel terreno fra i monti calabresi, dove giovani venuti dal nord hanno deciso di calarsi ed esplorare.
Sarà un'impresa, oggi come allora.
Perché a fare la differenza sono riprese magnifiche e quasi impossibili, scene che tolgono il fiato e che si fanno metafora mentre fuori, quel pastore che in quella montagna ha sempre vissuto, sta esalando i suoi ultimi respiri.
Frammartino è una gioia per gli occhi, e immersi nell'oscurità i brividi della bellezza sono innegabili, per quanto probabilmente meno immediati.
Ma anche te stai combattendo con mille difficoltà organizzative come i miei amici di FilmTv?
RispondiEliminaPrenotare i film è diventata un'odissea! Passi ogni pausa ad aggiornare sperando in qualche annullo, sveglie ogni ora per ricordare di prenotare, ma alla fine devo dire che devo ancora perdere un film. È tutta questione di tanta, tanta pazienza.
EliminaÀ plein temps è il miglior film che ho visto finora. Però aspetto l’accoppiata Brizè-Lindon
RispondiEliminaSorrentino resta nel mio cuore, ma questo film è difficile scrollarselo di dosso. Soprattutto viste le corse e le ansie che Boxol ha generato :)
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