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8 settembre 2021

Venezia 78 - Giorno 8

Inutile star qui a fare una premessa: è il giorno di Freaks Out
Ma c'è spazio anche per un Western epico e per un film russo con un gran protagonista. 

Freaks Out 
Quanta attesa, quante speranze riposte in Gabriele Mainetti! 
Meglio dirlo subito: non invano. 
Meglio precisare, però: qualcosa che scricchiola c'è. 
Non il mondo che costruisce: quello circense in tempo di guerra, quello dei partigiani alla riscossa, quello dei nazisti sadici. 
Non per la regia, che con un budget decisamente alto si destreggia in magie che lasciano a bocca aperta, in scene d'azione roboanti che sono gioia per gli occhi.


Non per una scenografia che nel circo dà il meglio di sé, inventando mondi, mostri, ambienti. 
Non per una colonna sonora che passa da Bella Ciao a Creep, sì, Creep, senza perdere un colpo. 
Non per il cast, in cui inutile dirlo, Pietro Castellitto si ama, Claudia Santamaria si adora, la giovane Aurora Giovinazzo si difende e pure Giorgio Tirabassi tira fuori un cuore tutto nuovo.

Ma, in questa strana storia di quattro esseri dai poteri speciali alla ricerca del loro padre putativo in una Roma occupata e di un nazista sui generis che vede il futuro e li vuole dalla sua parte, qualcosa, appunto, scricchiola. 
E sta tutto nella sceneggiatura, in una durata eccessiva (si sforano ampiamente le due ore) che appesantisce la storia, le sue svolte, i suoi personaggi che rischiano così di diventare macchietta nel ripetersi nei modi e nei gesti. 


Ci voleva una mano di asciugatura, ci voleva una maggiore compattezza, perché non  solo in quanto italiano, non solo perché una sfida per il nostro cinema, Freaks Out è una forza. 

In fondo come in Jeeg Robot si parla di poteri e di come gestirli, delle responsabilità che danno che Stan Lee non si cita mai a caso. 
Ma la confusione che lascia, l'esaltazione iniziale che si spegne per poi riaccendersi solo in una (lunga) battaglia finale, non si possono negare.
Dispiace quindi, e parecchio, non sentirsi soddisfatti al 100%.


Old Henry

Il Western è vivo e cammina con noi. 
Lo danno per morto, lo danno per risuscitato, ma non c'è Mostra che non ci riporti alla polvere dei cowboy, ai conti in sospeso regolati con le pistole. 
Per chi al genere è un po' allergico, come me, può sperare che almeno la storia raccontata sia originale, la messa in scena meritevole. 
Non sembra iniziare bene in questo senso il film di Potsy Ponciroli su un ladro in fuga e ferito preso in cura da un contadino taciturno e dal figlio che vorrebbe dimostrare di essere grande abbastanza, con un trio di sceriffi sadici che gli danno la caccia. Di mezzo, denaro che scotta. 


Niente di nuovo, sembra, fra stalli e difesa, tra figli che le sbagliano tutte facendosi irritanti. 
Ma ovviamente c'è di più: c'è un passato misterioso che deve essere rivelato, c'è un colpo di scena, anzi, due che rimescolano le carte in tavola. 
E c'è la sensazione di tornare a quel vecchio west dal sapore sporco e solido, dove i regolamenti di conti sono pallottole e coltellate ben assestate e dove gli attori si trasformano, tra un dolente e perfetto Tim Blake Nelson, un ripulito Scott Haze e un detestabile Stephen Dorff.

In un finale che non si può non definire che epico, che ha fatto esplodere la sala intera in un applauso. 
Io, la mia allergia non l'ho curata, ma il vecchio West continua a vivere e a farlo un gran bene. 


Eles Trasportan a Morte

Poche righe per definire questo film il classico prodotto da Festival che parla per immagini, che è fatto di metafore, dove i silenzi regnano, la confusione pure. 


Da che scappano questi tre marinai di Colombo con le sue vele? Cosa c'è dentro quella sacca inseparabile? Che succede nel mezzo di una natura strana, benevola e maligna allo stesso tempo? 
Domande che lascio senza problemi senza risposta, perché i soli 75 minuti di durata mi sono parsi il triplo. 
No, è un tipo di cinema che non fa proprio per me. 


Captain Volkonogov Escaped

Il Capitan Volkonogov ha deciso di andarsene. 
Di scappare da quella squadra di morte di cui era parte. 
Siamo in Russia, nel 1938, il comunismo impera, le denunce di chi è contro lo Stato fioccano. 
Basta una barzelletta, una parola fraintesa, un libro, per finire nel mirino di questi lupi che interrogano e fanno confessare. 
Ma se si tortura fino allo stremo, la confessione è davvero tale? 
Si fa prendere dai dubbi, Volkonogov, e scappa.


Inseguito, braccato, tradito e sconvolto ha una visione: lo aspetta l'inferno per quello che ha fatto, se non trova qualcuno disposto a perdonarlo. 
E inizia la sua processione, la sua via crucis, andando dai parenti di chi ha condannato, trovando muri, una mentalità devota allo Stato, la paura. 
I totalitarismi dell'est, a questa Mostra, non smettono di sconvolgere. 
Le torture sembrano all'ordine del giorno, la violenza non ci viene risparmiata. 
Qui, però, c'è un protagonista che buca lo schermo e anche se la sua fuga si protrae a lungo, richiedendo una buona dose di pazienza, il finale riesce a commuovere. 

Forse non resterà, forse ci vuole altro per smuoverci e per rimediare e non dimenticare fosse comuni e vite tolte senza pensarci due volte.
Ma nel suo reggere, accontentiamoci. 

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