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9 settembre 2022

Venezia 79 - Les Miens | Beyond the Wall | No Bears

Les Miens

Ce ne vorrebbero di più di film così. 
Di film semplici pur nella loro complessità, brevi seppur densi, solari anche in mezzo alle ombre. 
Siamo in una famiglia chiassosa e numerosa, in cui tutti si vogliono bene pur nascondendo le piccole crepe, i piccoli disaccordi che in una famiglia sempre ci sono. 
Ma quando Moussa viene trovato con un trauma cranico che lo porta a richiedere cure, attenzioni, tutto cambia. 
E cambia pure lui, ora scontroso e senza peli sulla lingua, che sputa in faccia verità che né i figli né i parenti, vorrebbero sentirsi dire. 
A capirlo, solo Ryadh, quel fratello di successo sempre accusato di essere distante e di non ascoltare, che lo ascolta, finalmente, che se ne prende cura in prima persona dopo che le sfuriate hanno allontanato gli altri. 
Il pegno da pagare per dire la verità, per essere se stesso, anche se fa male.


In due mesi di malattia, i rapporti cambiano, cambiano questi fratelli, modificando gli equilibri relazionali della famiglia. 
Breve e intenso, sembra di stare a tavola con questa famiglia francese allargata e chiassosa, sembra di stare in quei film italiani e caserecci, anche se lo zampino chic ed elegante Roschdy Zem ce lo mette, regalando una leggerezza ormai insperata a questa Mostra. 

Beyond the Wall

Siamo chiusi in una stanza, in un palazzo, circondati dalla polizia. 
Siamo nell'appartamento di un cieco, che si ritrova suo malgrado a dare protezione a una donna ferita e spaventata che la polizia cerca. 
Scappata da un arresto, dalle proteste della fabbrica in cui lavora, cerca disperatamente la libertà, il figlio che lì aveva lasciato. 
Ci sono grida di disperazione, c'è la paura e ci sono i momenti di fiducia richiesta e accettata fra due prigionieri che devono sostenersi a vicenda. 
Ma ci sono lampi in mezzo a questo appartamento, flashback che si incastrano così bene al presente da significare qualcosa di più. 



Richiede pazienza il film di Vahid Jalilvand, richiede attenzione e non mollare all'ennesimo urlo, all'ennesima chiamata disperata. 
Perché tutto si spiega nel finale, sorprendente, trovando un senso a raccordi e visite, lettere e filmati di sorveglianza. 
Dando così un significato potente a un film che si percepisce subito come denso, ma non pensante. 

No Bears

Da luglio, Jafar Panahi è in stato di arresto. 
Da anni, porta avanti la sua carriera di regista indipendente in modo nascosto, facendo arrivare i suoi film, la sua voce, ai vari Festival. 
Anche questa volta, riflette sulla sua condizione di regista/rifugiato, mostrando un Iran da cui in molti vogliono fuggire, in cui tutti sospettano degli altri. 
La paura di uscire dalle tradizioni, dal confine imposto, di offendere l'onore e l'ospite, lo rende un inquilino difficile nel villaggio in cui è andato a stare, mentre a Teheran la sua troupe porta avanti il suo film in cui testimoniare i difficili passaggi di chi cerca di andarsene. 



Un film nel film, quindi, in cui realtà e finzione si mescolano, in cui è ancora possibile ribellarsi, provando rabbia. 
Non facile e reso ancora più importante dalla situazione attuale del regista, No Bears mostra come i pericoli non sono più da ricercare nella natura, non ci sono orsi. Ci sono però uomini, che limitano la libertà, di pensiero, di azione. 

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