Andiamo a Cinema
Benvenuti da Chez In Central Perk
Questa sera offriamo due piatti molto chiacchierati, diversi ma complementari fra loro.
Preferite l'eleganza coinvolgente d'alta classe o il calore sanguigno della Londra rinomata?
Perché al cinema, come in TV, i film di cucina vanno forte.
Nessuna sfida, nessun voto che può ribaltare la situazione anche se mezza tazzina fa la differenza.
Entrambi i titoli vanno degustati nella serata giusta, con il palato fresco e pronto a sorprendersi:
The Menu
INGREDIENTI
1 appassionato di cucina molecolare con la sua accompagnatrice
3 colleghi di lavoro gradassi e spendaccioni
1 coppia di anziani signori e i loro segreti
1 critica gastronomica con il suo editore
1 ex stella del cinema con la sua assistente
1 chef rinomato che in un'isola privata gestisce il suo esclusivo ristorante
1 dozzina di collaboratori obbedienti
Cuocere a fuoco lento ma progressivo
Servire shakerato con sorpresa finale
Il bello, di un Menu, è quando è alla cieca.
Quando ci si fida dei nomi coinvolti, della fama che lo precede.
Perché rovinare l'attesa con un trailer che anticipa più del dovuto?
Così, con The Menu, il bello è sentire l'aria sinistra che nell'esclusiva Hawthorne Island si respira, fra vongole da pescare, orti da coltivare, carne da affumicare.
Nessuna via di fuga, una volta che la nave è ritornata al porto di partenza, nient'altro da fare che mangiare.
Anzi, no.
Non mangiare, gustare la cena che Julian Slowik ha meticolosamente preparato.
Piatti raffinati, piatti concettuali, con storie che iniziano come prese di posizione per arrivare poi al personale, così personale da prendere un'altra piega e confermare certi sospetti.
Di più, meglio non dire.
Ci pensa già il trailer a rovinare la sorpresa, e non voglio essere parte del problema.
Perché l'escalation è di quelle toste, di quelle che si fanno pure politiche, gestita però alla perfezione, con quella freddezza che non ti aspetti, con gli sguardi, i battiti di mano, la psicologia di gruppo e dei singoli ad avere la meglio.
Basta poco per inquadrare i personaggi, per fare di Anya Taylor-Joy un'altra eroina da venerare, di Nicholas Hoult un altro personaggio da simpaticamente odiare, e per fare di Ralph Fiennes un cuoco ferito che non sembra avere una via di fuga.
Quel che ne esce è un piatto ricco e sorprendente, dalle sfumature ben calibrate tra capitoli e portate, ma presentate con una classe che in mezzo al sangue, all'orrore, sa fare la differenza.
Con la scrittura precisa a lasciare le lodi alla regia chirurgica.
Nessun amaro in bocca, ma una ciliegina al gusto di cheeseburger a rendere la visione ancora più appetitosa.
Boiling Point
INGREDIENTI
1/2 testa ansiosa alla The Bear
1 serata da gestire su più fronti alla Locke
1 piano sequenza per l'intero film alla Victoria
Bruciare senza troppi rimorsi
Servire nel mondo lussuoso di Londra, a temperatura umida
I richiami sono inevitabili.
C'è l'ansia nelle cucine che grazie a Jeremy White Allen ci è ora familiare.
Ci sono i comandi da seguire, le regole a cui sottostare, la pressione di un menu che cambia, di allergie da rispettare.
E c'è la vita privata che mal si accorda con i ritmi di una cucina sotto pressione.
Soprattutto se lo chef che tutto dovrebbe tenere sotto controllo è in fase di separazione, con un figlio che a fatica si riesce a contattare tra una bevuta e l'altra.
Ma per Andy Jones i problemi non sembrano finiti qui: i colleghi criticano la sua gestione del ristorante, il suo ex capo, ora chef televisivo rinomato, si presenta alla serata per mettergli pressione, la caposala tiene più alle richieste degli influencers presenti che al cibo da servire.
In una serata caotica tra sostituti da formare e allergie di cui tenere conto, si passa dietro e davanti i fornelli, dietro e davanti il bancone bar, a seguire camerieri alle prese con clienti difficili, liti fra chef e situazioni di non facile gestione.
Il tutto mostrato in un unico piano sequenza.
Che aumenta l'ansia che la situazione crea, che dà più fascino ad un film dalla sceneggiatura non così appassionante, che dà merito a un attore come Stephen Graham qui particolarmente spigoloso.
Ne esce un esercizio di stile tutto sommato con anima, girato in appena tre giorni con quattro possibili soluzioni (a vincere, è stata il terzo take), capace di convincere tanto da portare alla realizzazione di una futura serie TV.
Ma a dir la verità, l'esperimento Victoria non si batte, e non solo perché qui si resta in unico ambiente, in un'unica serata, senza troppi scossoni.
Sarà che arriva carico di aspettative, o di precedenti illustri.
Voto: ☕☕☕/5
Un apocalittico thriller culinario.
RispondiEliminaBoiling Point mi manca ma The Menu l'ho visto ieri sera ed è stata davvero una bella esperienza, tra risate e momenti di tensione.
RispondiEliminaHo già una doppia acquolina in bocca! :)
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