31 gennaio 2023

Ritrovare Mattia Torre: Sei Pezzi Facili - La Linea Verticale - Boris S04

Sono ancora qui a smaltire le visioni delle feste.
Quelle che permettono di prendersi più tempo, di recuperare, di assaporare.
E tra un pandoro e un panettone, Mattia Torre era lì, ad aspettarmi.
Ad aspettarmi con Sei pezzi facili che hanno riunito i suoi attori feticcio, a ricordarmi di quello che di lui, ancora, non avevo visto.
Rimedio ora, in ritardo, ma grata per una penna che ha saputo catturare così bene le ipocrisie e i nervosismi dell'oggi.

Sei Pezzi Facili

Sei pezzi, sei serate, attori che si alternano sul palco e un regista che tutto riprende per la TV per rendere omaggio, salutare e onorare ancora una volta Mattia Torre.
Monologhi e duetti, piccole piéce, in cui si riflette sulla società di oggi, in cui riuscire a ridere, commuoversi, identificarsi.
Il tutto, diretto da Paolo Sorrentino che gioca con il palcoscenico, con i punti di vista, rendendo dinamica anche la regia tutt'altro che teatrale.

Io sono io, e come sempre ho voluto farne una classifica:

6. 456


Mi scuseranno  Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri e Giordano Agrusta, ma è stato il più difficile da seguire.
Se non impossibile.
Un italiano-dialettale-latineggiante che mi ha urtato i nervi, genitori e figlio esagitati dal vento, dai parenti in visita, dalle dinamiche interne che ha reso sofferente tutta la durata della visione.
Che fatica, la famiglia.


5. Gola


È il monologo più breve, affidato a Valerio Aprea.
È anche quello che apre il ciclo su RaiPlay e forse la recitazione nevrotica e nervosa, forse che ci si aspettava di più dall'argomento cibo, trattato già da più comici, da più scrittori nel corso degli anni, ma qualche guizzo in più me lo aspettavo.


4. Qui e Ora


Uno scontro, fra due motorini, fuori Roma.
Un cuoco radiofonico contro quello che sembra un semplice cittadino morente.
Come Vladimir ed Estragon aspettano, non Godot, ma un'ambulanza, che essendo domenica, essendo Roma, tarda ad arrivare.
Scattano così dinamiche di potere, di ritorsione, che non ti aspetti in una prova attoriale fra Valerio Aprea e Paolo Calbresi.
Finale beffardo da incorniciare.


3. In Mezzo al Mare


Ancora Aprea, ancora un monologo.
Questa volta di quello che all'apparenza è un uomo semplice, triste, innamorato e ossessionato da una donna conosciuta ad un cena, che deve andare a testimoniare davanti ad un giudice.
Lui, che ad un incidente ha assistito.
La preparazione e la testimonianza stessa portano però ad aprire molte parentesi e a raccontare molto del suo passato, portando a riflessioni sul ping-pong, sui pandini dell'emergenza sangue, sulla bellezza femminile e le frasi comuni che portano a ridere a crepapelle e a preoccuparsi un po', per la tenuta mentale di questo testimone.
La regia di Sorrentino lascia spazio a brevi e fugaci visioni della donna oggetto d'ossessione, del giudice, trasformando una testimonianza in una confessione.


2. Migliore


Valerio Mastandrea uomo docile, vicino remissivo, lavoratore dimesso.
Che cambia, però, stanco di soprusi e angherie, stanco di rimanere in silenzio.
Cambia lentamente, in un monologo a fuoco lento che incalza, che spiazza.
Un Mastandrea immenso, che cambia voci e cambia tono, che cambia nel suo personaggio che cambia, dando vita a un'evoluzione non per forza migliorativa, nonostante il titolo.
Ma che mostra, invece, la forza di una scrittura che tutto collega e tutto ha sotto controllo.
Quanta bravura, su quel palco.
Quanta commozione, nel finale.


1. Perfetta


Perfetta Geppy Cucciari.
Perfetto il suo monologo.
Perfetta la descrizione delle fasi mensili di una donna, anche se a scriverle è un uomo.
Impossibile non preferirlo a tutto il resto, per quanta verità viene raccontata, per quanta aderenza c'è nelle fasi di un ciclo infinito che sfinisce però noi, donne con il ciclo.
Cuccari è un portento, regge il monologo sulle sue spalle, trasformandosi in continuazione, raccontando i monotoni martedì di una madre e moglie venditrice d'auto che cambia in base alla sua ovulazione.
Applausi a scena aperta.


La Linea Verticale

Quando era passato su Rai3 mi ero ripromessa di recuperarlo.
Dare fiducia a uno sceneggiatore qui anche regista, che racconta la sua storia, adatta il suo romanzo molto biografico.
Poi chissà che è successo.
La vita, viene da rispondersi.
Volendo proseguire l'omaggio per una penna che sento affine, sono andata a rispolverarlo sul catalogo di Raiplay trovando un dramma ospedaliero su un marito e padre alle prese con il cancro.
Un cancro subdolo, improvviso, che porta a un'operazione molto più debilitante del previsto da cui rimettersi con calma, mentre fuori il mondo non si ferma, la gravidanza di una splendida Greta Scarano nemmeno.


Il merito è sì di un Mattia Torre che nella sua degenza ospedaliera è riuscito a soffermarsi e riflettere sul cibo, sulla gerarchia interna e sulla gestione dei pazienti in modo intelligente e arguto, regalando piccoli monologhi pieni di forza. Ma va anche a un Valerio Mastandrea stropicciato e sofferente che ha tutta la nostra simpatia.
L'universo che si crea, in una stanza d'ospedale dove parlare liberamente del proprio corpo, del proprio dolore con sconosciuti in pigiama, diventa una lezione di vita per chi la vita la dà per scontata.
Un messaggio che è quasi finale per chi poi dal cancro è stato portato via, che visto oggi fa ancora più male.
Le paure, come i lutti, si possono demonizzare attraverso la scrittura.


Boris - Stagione 4

Ero fra quelli che ne avrebbero fatto volentieri a meno.
E non lo dico per darmi un'aria da snob o per distinguermi dalla massa.
È che il rapporto con Boris non è stato dei più facili.
Recuperato con considerevole ritardo nei primi tempi di questa pandemia grazie a Netflix, avevo trovato geniali, splendide, appassionanti le prime due stagioni.
Poi con la terza tutto mi è parso troppo calcato, i personaggi si ripetono, le battute che hanno fatto presa diventano dei tormentoni, i nuovi personaggi non hanno smalto, quelli vecchi l'hanno perso.
E così, molto svogliatamente, ho recuperato anche un film che mi è sembrato molto poco ispirato, quasi fastidioso.
Come approcciarla una quarta stagione su Disney+ ora che i tormentoni sono tornati a tormentarmi?


Ora, soprattutto, che Mattia Torre non c'è più e diventa un Valerio Aprea fantasma nella serie?
Aspettando che il clamore passi, rimanendone fuori per un po'.
E cosa ritrovo?
Ritrovo la stessa troupe, lo stesso caos, ma in una serie diversa.
La vita di Gesù che si vuole raccontare a Cinecittà, per un servizio streaming che chiede quel rispetto, quell'inclusione e quella diversità che ne Gli occhi del cuore è sempre mancato.
Non mancano così battute facili e facili incomprensioni con l'inglese, stoccate al politically correct che hanno stancato più del politically correct, in una malagestione che irrita più che divertire.


Le uniche risate, tra un René esagerato, un'Arianna sacrificata e un Mariano sopra le righe, me le ha regalate lo Stanis di Pietro Sermonti, che nemmeno il flop di Gengis Khan l'ha cambiato, sempre un idolo, cado ai suoi piedi dai tempi di Un medico in famiglia.
Gli sceneggiatori, fuori e dentro il set, poco si impegnano e viene da chiedersi com'è che il risultato è così caotico e poco curato nei passaggi temporali e nelle storie singole (tra cecità risolte e assistenti odiosi) se il ritorno aveva tutto il tempo per essere ben studiato.
Mi lamento solo io, lo so, ma nemmeno il finale da Locura ha reso leggero un ritorno non richiesto.
Lunga vita a Stanis, però, e Gifuni che con una battuta riba la scena.

2 commenti:

  1. Bellissima La linea verticale.
    Boris 4 ha deluso anche me... d'altra parte uno come Mattia Torre non lo si può mica sostituire.

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    1. Mi sa che ce l'avevo lì da recuperare grazie a un tuo vecchio suggerimento.
      Regge ancora benissimo, la scrittura di Torre non si batte.

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