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1 aprile 2023

Holy Spider

Andiamo al Cinema

2000, un assassino si aggira per i quartieri di Mashhad mietendo le sue vittime fra le donne che vendono i loro corpi pur di guadagnare qualcosa.
Le attira nel suo appartamento, le strangola, le scarica in luoghi isolati fuori città.
Arrivati a quota 13 vittime (saranno 16, alla fine), la polizia non sembra riuscire a trovarlo ed entra in azione una giornalista, residente a Teheran, che vuole vederci chiaro.
Capirà subito di cosa si tratta, di polizia compiacente, di popolazione che lo sostiene, in quella che è una missione santa: ripulire le strade da poche di buono, una buona azione che non può essere condannata.
Lo capisce lei che deve coprirsi con un velo, che non può girare sola, che viene corteggiata e minacciata.
E lo capisce lui, quel serial killer che è un padre di famiglia amorevole, un marito devoto, un lavoratore, che anche quando incastrato e arrestato, trova conforto nella popolarità acquisita, nel supporto che ottiene, nella certezza di essere protetto e rispettato dalle alte sfere per la pulizia compiuta.


Siamo in un Iran distante e allo stesso tempo vicino a quello di oggi.
Dove le donne non protestavano, dove le contraddizioni non mancano tra clienti certi e droga che anestetizza, dove la religione impone regole e non punisce chi va contro la legge terrena.
Ali Abbasi, iraniano residente in Danimarca, era studente a Teheran ai tempi degli omicidi.
Ricorda lo scalpore, le opinioni contrastanti della gente e dei giornali, ricorda il documentario di Maziar Bahari And Along Came a Spider, che lo ha ispirato ma ha deciso di scostarsi dai fatti reali almeno in parte, almeno per il ruolo chiave che quella giornalista ha avuto in modo da evitarle ulteriori problemi, visto il divieto di girare il suo film sia in Iran che nella compiacente Turchia.


Provoca e rende protagonista una donna combattiva e libera, fiera proprio della sua libertà. 
E mostra i mostri che si nascondono dietro mura rassicuranti, la loro ideologia che si trasmette di padre in figlio.
Mostra le donne che si vendono, mostra il sesso, mostra i corpi e mostra la morte, non risparmiando niente né a noi né al suo paese di origine, dove un film simile non uscirà probabilmente mai.
Anzi, l'attrice Zar Amir Ebrahimi vincitrice a Cannes della Palma d'Oro ha ricevuto numerose minacce di morte per il solo fatta di aver mostrato i suoi capelli, lei che da casting director aveva accettato il ruolo rifiutato per paura da altre.


È un atto politico, è una storia vera, ma è anche un thriller teso e cupo.
Polveroso e viscido nella sua messa in scena come nel suo protagonista maschile, capace di avvincere e disgustare.
Il finale sa essere beffardo e amaro, lieto solo in parte nonostante la risoluzione di un caso e la chiusura di un lavoro.
Ancor più alla luce di quello che è l'Iran oggi, dove però i venti di protesta, le donne che sanno imporsi e gli uomini che le sostengono, non mancano.
Per fortuna.

Voto: ☕☕/5

2 commenti:

  1. In mezzo a tanti thriller che si somigliano tutti, questa potrebbe essere una visione diversa dal solito...

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    1. Di sicuro è una visione più difficile e che risparmia poco.
      Ma il regista ci aveva già abituato con Border, ne ho un ricordo così viscido e disgustato che fatico a dimenticarlo.

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