Andiamo al Cinema
Una piccola comunità, chiusa e ristretta nella Transilvania.
In cui gli uomini si spostano nella vicina Germania, per fare quei lavori che i tedeschi non vogliono più fare, non a quelle condizioni contrattuali, subendo violenze e razzismo, e in cui arrivano uomini dallo Sri Lanka per fare quei lavori che i rumeni non vogliono più fare, non a quelle condizioni contrattuali, subendo violenze e razzismo.
E infine ci sono gli orsi, che in quei boschi che sono i loro vengono censiti, che si avvicinano all'uomo provocando paure ancestrali, che si moltiplicano e minacciano.
Cristian Mungiu riprende un fatto vero, una protesta di cittadini della Transilvania dove le etnie sono numerose, e che in 1.800, hanno firmato per impedire a 2 immigrati dallo Sri Lanka di lavorare nel locale panificio.
Regolarmente assunti e regolarmente sponsorizzati dall'Unione Europea che elargisce fondi pur non monitorando contratti scadenti.
Nel 2020 si è creato un dibattitto interno al Paese, con numerosi casi simili, raccolte firme e episodi di razzismo a cambiare la politica della Romania, paese che da noi viene percepito come di immigrati che non accetta altri immigrati.
Episodi razzisti che hanno fatto uscire il lato meno umano degli uomini, il lato animale che protegge i propri confini, il proprio territorio.
Così non mancano le metafore in un film in cui, come da titolo italiano, gli animali selvatici minacciano un paesino immerso nel bosco, in un bosco in cui le presenze sinistre tolgono la parola e il coraggio a un bambino. Ci sono orsi, ci sono volpi, e ci sono uomini, ben più pericolosi con un fucile o con una corda in mano.
Il titolo originale, invece, R. M. N. è ben più metaforico, con Mungiu impegnato a fare una radiografia agli umori, ai pensieri, ai sentimenti di una popolazione che si divide e si stringe ai suoi ideali.
Nel mezzo, l'immancabile storia d'amore che aiuta il pubblico ad entrare nel film..
Che non è però una storia d'amore classica, anzi. Anche qui c'è uno scontro tra ideali e tra forze, con un uomo violento e all'antica che pur tradisce la moglie e il figlio, e una donna moderna, che dell'amore non sa che farsene, che vive sola e che accetta alte culture, altre storie.
Nessuno dei due è un santo, in un paesino in cui pure la Chiesa è cristiana solo su carta. Lui ha una fedina sporca in Germania, lei accetta le condizioni contrattuali da fame proposte dal panificio che dirige.
Ed è l'ennesimo dibattito che un film sui dibattiti scatena. Con gli opposti che non riescono a venirsi incontro, a ragionare soprattutto.
Immersi in queste dinamiche, la regia regala momenti lirici offerti dalla natura incontaminata e sfruttata dall'uomo, ma il più lo fa una sceneggiatura densa, molto densa.
Fatta di parole, di scontri, confronti, proteste e riunioni, dove è difficile non partecipare e non infervorarsi per quei 1.800 contrari in un'assemblea a camera fissa dove il fuoco si concentra su chi prende la parola per urlare la sua verità.
Animali Selvatici è un film attuale impegnato e impegnativo, che chiede tempo e chiede pazienza, che accumula tensioni e posizioni registrando i fatti, facendo capire da che parte Mungiu sta, lasciando briciole di indizi nei momenti più intimi di una cena multilingue.
Resta un film di parole, allora, un film schierato che affida alle parole molto, se non tutto.
Tranne un finale metaforico e poetico, che chiede quello scatto in più che finora al pubblico non era servito, che spiazza quanto basta.
Voto: ☕☕☕/5
Bella recensione, Lisa! Ho appena visto il film e mi ritrovo esattamente in quello che dici, parola per parola. E uno dei rari casi in cui il titolo italiano è più incisivo dell'originale
RispondiEliminaGrazie Sauro! I titoli sono perfetti entrambi, diretti e metaforici allo stesso tempo, ma quello italiano ha qualcosa di più. Film non facile e che fa discutere, anzi, fa quasi venir voglia di intervenire al dibattito. Peccato sia uscito in un periodo non felice, ma lo immagino recuperato dai cineforum autunnali.
Elimina