Quanto bene si vuole a Valerio Mastandrea?
Sempre di più, dopo questa seconda prova da regista.
Ci porta in ospedale, ci porta a conoscere la vita di chi in quell'ospedale vive da anni, muovendosi indisturbati fra medici e pazienti. Sono i pazienti in coma, né morti né vivi, ma vivi in un mondo loro, dove stringono amicizia, dove scappano al vento e dal vento vengono sedotti, per abbandonarla, la vita.
Mastandrea è quello cinico, quello distaccato, quello che la vita se la gode senza chiedere troppo e senza troppo riflettere. Finché lo spostano di stanza e tutto cambia. Non solo perché quella era la sua stanza, ma perché a occuparla è una donna dura e scorbutica di cui finirà per innamorarsi. Ma che amore è, quello fra due non vivi che non possono sperare né di risvegliarsi né di morire perché in entrambi i casi finiranno per dimenticare tutto?
Chiuso un questo purgatorio poetico e tragicomico, Mastandrea immagina una vita parallela fatta di piccole gioie e piccoli insegnamenti, di gite fatte di una giornata appena e concerti non voluto con chi invece può ascoltare.
È un film diverso da Ride, meno politico ma a suo modo impegnato. Un inno alla vita e al vivere, anche controvento.
Se le tematiche e la recitazione di personaggi ritagliati a immagine e somiglianza di Laura Morante e Lino Musella non stupisce, la regia fatta di movimenti fluidi, guizzi improvvisi, è quella che colpisce. Certo, la cinica che in me trova troppi momenti da videoclip con canzoni -tutte scelte con cura- che sopperiscono alle parole, ma vista la cura, visto il cuore, perdono anche questo a Mastandrea regista.
Mi sembra che siamo dalle parti de La linea verticale, la (sottovalutata) serie in cui Valerio nazionale era diretto da Mattia Torre, quindi la curiosità è parecchio alta!
RispondiEliminaC'è una componente fantastica che rende il racconto ancora più speciale, però sì, Mattia Torre si percepisce fra i corridoi di questo ospedale.
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