Pagine

10 dicembre 2025

Ballad of a Small Player

Andiamo al Cinema su Netflix

Ballata di un piccolo giocatore, un giocatore così piccolo che si rifugia a Macao, la capitale del gioco d'azzardo, dove confondersi e inventarsi una nuova identità, dove minimizzare i propri debiti, le proprie sfortune, in attesa di quella striscia fortunata che prima o poi deve arrivare.
Una ballata lenta e lisergica, che segue le sfortune, le cadute, le fughe e le bugie di un giocatore così piccolo da venire presto intercettato, minacciato, messo alle strette: li può restituire quei soldi con cui è scappato? Li può saldare i suoi conti? Sperpera quel che resta, ingurgita quel che può, in un tentativo maldestro di infarto bulimico che lo porta a una salvezza insperata.
Una ballata per anime sole, anime che si incontrano alla luce fredda dei casinò dove non esiste giorno, non esiste notte, anime che si incontrano alla vigilia della celebrazione della notte delle anime, anime che si aiutano, in spirito.
E ritrova la fortuna, quel giocatore, che come uno scarafaggio torna sui suoi passi, vince, e esalta, e si esalta, saldando conti e parcelle, mettendo alla prova la sua fortuna e cercando di saldarlo una volta per tutte quel debito.


È una ballata lenta e strana, una ballata dal ritmo zoppo, che incanta visivamente grazie ai non luoghi che Lord Doyle riempie, tra stanze dal lusso pacchiano, palazzoni colorati, barocchi e sovietici a fare da sfondo, una ballata che segue il ritmo di vita di un giocatore incallito, con ripensamenti e sfide tutte personali, con un codice morale labile quanto il suo saper dire di no, a un'altra mano, a un'altra sfida.
Si fatica a stare dietro a questa ballata, a trovarne la bellezza, nonostante la recitazione fisica di un Colin Farrell sudato, sporco, unto, in abiti fintamente sartoriali e con i modi fintamente nobili, nonostante la presenza di quell'elfo di Tilda Swinton che come un grillo parlante attacca la sua coscienza, chiede riscatti, chiede promesse, chiede un'altra vita, meno dispendiosa e esagerata ma anche meno grigia della sua. Infine, c'è lo spirito di Fala Chen, quello che tiene la bussola del film, in una presenza magnetica che fa a pugni con i colori sgargianti, con i modi chiassosi, di Farrell e fa intravedere la miseria, dietro il lusso, la disperazione dietro le roulette.


Ballata dopo ballata, giocata dopo giocata in un Black Jack rivisitato in cui attenersi alla fortuna più pura, viene da chiedersi: quand'è che ha perso la sua, di striscia fortunata, Farrell?
Quand'è che si è messo a incasellare uno dopo l'altro film non riusciti? Pur mettendo tutto se stesso, pur essendo più a suo agio rispetto a una commedia romantica, va detto.
E come si passa dall'imponenza della Grande Guerra agli intrighi del Vaticano a una ballato tanto diversa, tanto confusa, per Edward Berger? Regista che qui tralascia le parole per le visioni, mette da parte la sceneggiatura per mostrare la decadenza in tutto il suo sfolgorante colore al neon?
Nel seguire questa ballata, questo giocatore incallito, tra sfortune e fortune, si arriva a un finale che aumenta solo la frustrazione, per una scelta poco comprensibile, per un film che ci credeva troppo, per una stranezza che nemmeno un ballo a due tra Colin e Tilda sa mitigare.
Fermate questa ballata, meglio scendere in corsa.

Voto: ☕☕/5

Nessun commento:

Posta un commento