5 agosto 2020

Under the Silver Lake

È già Ieri -2018-

Sam vive a Los Angeles, una Los Angeles tormentata da un serial killer di cani, dove un grande magnate scompare nel nulla, dove esplode la band di Jesus and the Brides of Dracula.
Sam è un patito di vecchi film, ma mai come la madre appassionata a vecchie star del cinema muto.
Sam non ha amici stretti, non ha una ragazza, ma ha compagni di videogiochi, un'aspirante attrice con annessi benefits.
Sam non ha un lavoro, non ora almeno, la sua auto gli viene pignorata (ma prima vandalizzata), dal suo appartamento viene sfrattato.
Sam come un moderno L. B. Jefferies spia la vicina hippie con i suoi pappagalli, spia la giovane nuova arrivata Sarah, di cui si invaghisce all'istante.
Sam sembra avere delle chance, ma arriva un pirata e se la porta via.

4 agosto 2020

I Know This Much Is True

Mondo Serial

So che almeno questo è vero.
Derek Cianfrance dopo il suo Blue Valentine era diventato un regista atteso e richiesto.
Almeno dalla sottoscritta.
Ma queste attese sono state infrante con il non troppo riuscito Come un tuono, con il melenso La luce sugli oceani ricordato ormai solamente per l'amore scoppiato sul set fra Fassbender e la Vikander.
Il suo debutto seriale poteva rimetterlo nella giusta carreggiata?
Forse, mi dicevo.
Certo, aveva scelto Mark Ruffalo come doppio protagonista, aveva scelto le non troppo simpatiche Juliette Lewis e Kathryn Hahn, ma aveva scelto anche la fresca Imogen Poots e Marcello Fonte come narratore.
Il ragionevole dubbio glielo si poteva concedere.

3 agosto 2020

Il Lunedì Leggo - Eccomi di Jonathan Safran Foer

Chissà se mai lo capirò e lo accetterò il fatto di sentirmi a casa nelle famiglie ebree d'America.
Me le ha fatte conoscere Philip Roth, con tutto il loro carico di sensi di colpa, frustrazioni, repressioni e chiodi fissi.
Genitori ingombranti, imbarazzi adolescenziali e così tante paturnie, riflessioni a cervello mai spento che dicono tanto di quello che non voglio sapere.
Ci torno dopo anni di assenza con Jonathan Safran Foer, quello che per molti è l'erede di Roth, per altri è solo uno dei più sopravvalutati scrittori americani.
Mi tengo a debita distanza da entrambe le definizioni e conosco i Bloch.

Marito e moglie, tre figli, un cane, un nonno brontolone, un bisnonno di peso e cugini da Israele al seguito.
Conosco Jacob soprattutto, scrittore di serie TV per HBO, represso e impotente, pieno di non detti, un telefono nascosto su cui sfogare le sue pulsioni e la sensazione di non sapere mai che fare.
Non quando è assieme a Julia, nonostante un patto stretto prima del matrimonio di dirsi sempre tutto, non quando sta con i figli, non quando è lui il figlio e il nipote.
L'intelligenza di Sam, il buon cuore di Max e le domande curiose di Benji lo mettono sempre in crisi.
Il confronto perenne con quel cugino che vive oltreoceano lo fa sentire in difetto, fa della sua sicurezza casalinga un'insicurezza. Del suo essere americano ma pure ebreo, un nodo difficile da sciogliere.
Forse per questo ha iniziato quella relazione solo telefonica con una collega.


Quel che è peggio, è che tutto questo sembra saperlo anche Julia, sua moglie, che lo conosce, lo analizza, lo studia.
Lei che non vuole ammettere il suo bisogno di solitudine, di costruire finalmente una delle tante case che progetta in cui non ci sono camere da letto per figli, c'è solo la sua.
Per lei, sola.
Anche se Mark fresco di divorzio la provoca, flirta, anche se quel telefono che trova e che spia, potrebbe essere la carta per smettere di essere la casalinga perfetta che tutto risolve, che si prende cura di un cane che non ha mai voluto, che deve fare la poliziotta cattiva con quel figlio che passa troppe ore a costruire una vita finta davanti ad uno schermo, che minaccia così di non fare il suo Bar Mitzvah.


Il Bar Mitzvah di Sam è il grande evento attorno a cui tutto sembra ruotare.
Così dovrebbe essere, ma JSF scombina le carte delle realtà ed immagina un terremoto che distrugge Israele, con una guerra che sembra sul punto di scoppiare, gli equilibri finalmente rotti ed ebrei da tutto il mondo chiamati a tornare a casa a difendere la loro Patria.
Deve andarci anche Jacob, ora che il suo matrimonio è a pezzi, che quel nonno che ad un'altra guerra è sopravvissuto ha deciso di dire basta, che quel cugino che ha sempre ammirato, che l'ha fatto vivere davvero una sola volta, allo zoo, a casa deve ritornarci per forza?


Mescolando reale e finzione, inserendo cenni autobiografici che i più esperti hanno colto, assistiamo a muri del pianto che crollano, metaforici e reali.
Una chiamata alle armi assieme alla decisione di una disfatta, con la famiglia Bloch nella sua coralità a mostrarsi al vetriolo.
Il racconto usa le tecniche della scrittura creativa alternando stili e punti di vista, inserendo discorsi patriottici che si mescolano a quelli antisemiti a quelli di un giovane che accetta di non diventare uomo e spiega a noi quel titolo religioso, quella parola pronunciata da Abramo a Dio.
Eccomi.


Lungo e complesso, con al suo interno una vera e propria Bibbia che rivela più di pagine e pagine su come Jacob vede la sua vita, Eccomi è quel romanzo corposo che fa davvero stare dentro un'altra casa per un po'.
Una casa caotica, con tappeti macchiati da un cane incontinente, con schermi che mostrano notizie lontane ma vicine, realtà virtuali più vere di quelle reali, una fratellanza che si crea nel momento del bisogno. Gli sguardi sul futuro che la Bibbia ci fa scorgere fanno male, ma non è con questi che JSF decide di chiudere la sua epopea.
Lo fa in modo piuttosto ricattatorio attraverso un cane come Argo, che la famiglia Bloch ha accompagnato/sopportato per anni e che per anni si è fatto accudire ed è stato argomento di conflitto e di discussioni.
Così, anche se fra i Bloch si stava stretti, anche se nessuno dei suoi componenti ha saputo suscitare la giusta punta di simpatia o di comprensione proprio perché l'ipocrisia, i difetti, le debolezze che mostrano sono così familiari, le lacrime sono arrivate improvvise.
Sentirsi a casa, anche se non in quella più comoda, fa questo effetto.

1 agosto 2020

Il Re di Staten Island

Andiamo al Cinema

Nome: Scott
Età: 24 anni
Indirizzo: a casa della madre, Staten Island
Titolo di Studi: ritirato dalle superiori
Occupazione: bighellonare con gli amici (si usa ancora il termine bighellonare?)
Aspirazioni: fare il tatuatore
Esperienze: quella quarantina di tatuaggi sul corpo e innumerevoli altri su quelli degli amici
Situazione sentimentale: sesso occasionale con la mia migliore amica, Kelsey


Com'è possibile che Scott non voglia di più dalla sua vita?
Che si attacchi alla scusa del suo disturbo di attenzione, del suo morbo di Crohn, per non trovare la sua strada, uscirsene di casa, combinare qualcosa che non siano guai?
Il fatto è che Scott non è come la sorella, responsabile e stabile che se ne parte per l'Università.
Lui soffre.
Di depressione, di tristezza, di mancanza di quel padre che se n'è andato eroicamente in servizio, lasciando lui -figlio di un pompiere- senza un punto di riferimento.
La madre fa quello che può.
Lo sgrida, lo sprona, lo lascia fare.
Pure lei, d'altronde, si ritrova un tatuaggio discutibile sul polso.


Ma le cose per Scott devono cambiare.
Non può passare pomeriggi e serate con gli amici a guardare film e approfittarsi di Kelsey.
Lei vuole qualcosa di più, loro vorrebbero qualcosa di più.
Non può continuare a sperare di fare il tatuatore se non fa esperienza e non può fare esperienza senza guadagnare almeno qualcosa.
L'ultimatum arriva da una madre che con metà del nido vuoto, s'innamora.
Di un altro pompiere, di un altro uomo, di una minaccia per Scott che cerca di sabotare la loro relazione.
Ma così, inspiegabilmente, matura.
Matura con un nuovo lavoro, un nuovo ruolo in questa nuova famiglia allargata, matura riuscendo a conoscere quel padre che non ha mai conosciuto.


La storia di Scott è quella di Pete Davidson.
Comico e scrittore per il SNL, ex importanti come Ariana Grande, Kate Beckinsale e Margaret Qualley e chiaramente più di questo.
Pete è Scott, lui che a 7 anni il padre pompiere non l'ha visto tornare a casa dopo l'11 settembre (la scelta saggia e patriottica di evitare di inserire questo dettaglio nel film merita un applauso).
Lui che soffre di morbo di Crohn, che ha trovato sollievo nell'uso quotidiano di marijuana, lui che ha vissuto con la madre per troppi anni, lui che voleva sfondare ma non trovava il modo giusto. Non come tatuatore, ma come comico, ovviamente.
Lui che soprattutto ha sofferto di depressione e a fatica ne è uscito.


Judd Apatow convinto a sentire la sua storia ne ha tratto un film decisamente più maturo e diverso rispetto al suo solito.
La vena comica demenziale c'è, la faccia strana di Pete Davidson e le sue battute che hanno il sapore dell'improvvisazione, aiutano.
Il problema è solo che si è voluto dire troppo.
Lavori dalle regole assurde, bambini deliziosi che presto si dimenticano, rapine che lasciano il segno e il tempo che trovano...
Insomma, i 136 minuti de Il Re di Staten Island si sentono tutti e troppo per essere davanti a una commedia di Judd Apatow.
Si sente lo sforzo, il bisogno di mettere dentro questa scena e poi questa e poi questa.
Sforbiciato, avrebbe potuto essere una rivelazione.
Per le trovate, i tempi comici, l'umanità di Pete Davidson, per quei comprimari capaci di rubare la scena come Marisa Tomei, Steve Buscemi e Bel Powel.
Così com'è, resta un buon film, estivo e fresco, che fa sorridere più che ridere, che sa commuovere in quell'omaggio finale ad un padre che non c'è più.


Voto: ☕☕½/5

31 luglio 2020

The Assistant

È già Ieri -2019-

Un'assistente non si ferma mai.
Né di notte né di giorno.
Non se si è assunti da poco, non se si è donne in un ambiente di uomini, non se ci si deve occupare di qualunque tipo di mansione.
Presenza invisibile ma costante, Jane vive le sue giornate in ufficio.
Si sveglia in piena notte, passa l'intero weekend in attesa di essere esentata.
Organizza, pulisce, riordina, prepara, lava.
Avrebbe due colleghi, Jane, ma le lasciano le telefonate più difficili, la lasciano in alto mare, rimproverando i pranzi non precisi, le mail di scuse che manda.
Una giornata all'interno del suo lavoro e ci sembra di averle già viste tutte.
Lunghe ed infinite, stressanti psicologicamente e fisicamente.
Con un capo che non si vede mai, che si teme e si difende, che assume e riceve visite fuori dall'orario di lavoro.
Lo capisce Jane che qualcosa nell'ufficio di questo grande produttore non quadra.
Piccoli indizi, grandi sensazioni.
Denunciare?
Proprio lei che non è il suo tipo?
E a chi?
A chi già la giudica e non sta dalla sua parte, dalla parte di una possibile verità?


Forse ho raccontato troppo della trama di The Assistant, ma in realtà la trama altro non è che una giornata di lavoro di Jane, che per prima accende le luci dell'ufficio e per ultima le spegne.
Sola in una New York che dovrebbe essere il paradiso per una giovane piena di speranza, si trasforma invece in un incubo grigio e claustrofobico fatto di appuntamenti da fissare, telefonate a cui rispondere, solidarietà che manca.
Ultima ruota del carro, sfruttata e pressata, Jane non sembra avere scelta ma in realtà ci verrebbe da urlarle "Basta, vattene", "Molla tutto, vivi!".
I sogni di chi una casa di produzione la vuole scalare partono così, dal basso?
Partono svantaggiati rispetto a chi ha dalla sua un'ottima presenza ma nessuna esperienza?
L'atonia di Jane, le sue improvvise allucinazioni, sembrano dire di sì.


Julia Garner è protagonista assoluta e nonostante a pelle non sia mai piaciuta, qui regge sulle sue esili spalle l'intero film, accompagnata dalle brevi presenze del sempre odioso Matthew Macfadyen e della bella Kristine Froseth.
È lei che sempre seguiamo in spazi anonimi, sempre osserviamo in gesti quasi coreografati, sempre compatiamo e giudichiamo.
È lei che potrebbe cambiare le cose e finisce invece per venirne schiacciata.
Lo sguardo della documentarista Kitty Green qui al suo primo film di finzione, si sente e si vede tutto. Nel bene e nel male.
Con le emozioni lasciate fuori, l'occhio indagatore che vuole farsi denuncia.
Se dal lavoro si è ancora a casa, se lo smartworking ha sopperito nel bene e nel male agli orari e agli spazi d'ufficio, se le vacanze stanno per arrivare, The Assistant è forse il film un po' fuori stagione da recuperare, ambientato pure in inverno com'è.
Non farà certo rimpiangere quei pranzi tristi sulla scrivania e quelle ore che non passano mia prima di potersene andare a casa, ma mostra uno spaccato di cosa significa lavorare per uomini potenti abituati a farsi dire sempre di sì, uomini così potenti da poter essere invisibili ma farsi sentire, con la tematica del #metoo ad emergere, in modo laterale e forte, sempre tristemente e realisticamente presente.


Voto: ☕☕/5

30 luglio 2020

Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite del 30 Luglio

Ce lo si chiedeva senza bisogno di una pandemia, ce lo si chiede in questo strano 2020: il cinema d'estate esiste ancora?
Volendo, sì.
Se si affrontano i dubbi sanitari e se si accettano programmazioni ballerine (lo slittamento di Onward ne è l'esempio), in sala si può ancora andare.
E questo è quello che da questa settimana si può trovare, incrociando le dita:

Il Re di Staten Island
Il nuovo film di Judd Apatow si concentra su un bambioccione di 24 anni che fuma, fa sesso senza impegno, vivacchia con amici altrettanto indecisi su che strada prendere.
Ma quando la madre vedova inizia una relazione, tutto cambia.
Titolo di punta e su cui puntare, con la sua dose di freschezza.
Trailer

Un lungo viaggio nella notte
Arriva dalla Cina ma non fa paura.
Si parla di un ritorno a casa, di una donna amata da ricercare e dei ricordi che si mescolano ai sogni e all'immaginazione.
Ma l'aria di pesantezza c'è.
Trailer

Una Intima Convinzione
Film giudiziario francese, già annoiati?
La storia a tinte nere di una donna testarda che difende uno sconosciuto dall'accusa di aver ucciso la moglie, stuzzica però chi di crime s'interessa.
Ma per il momento, non me.
Trailer

L
Film greco del 2012 ripescato dopo anni senza apparente motivo.
La storia è strana quanto sanno essere strane le storie greche, con un uomo che vive in auto, consegna miele per professione, ricorda l'amico ucciso perché scambiato da un cacciatore per un orso finché il suo sistema di ligia puntualità viene meno e scoppia.
Spaventa più del dovuto fin dal Trailer

The Hater - dal 29 luglio su Netflix
Arriva dalla Polonia e a modo suo parla di fake news e di quelle società che le diffondono.
Con un nuovo, giovane assunto a confrontarsi con la sua morale.
Dopo anni di bullismo, il bullo diventa lui.
Produzione riempi-catalogo o qualcosa di più?
Trailer

29 luglio 2020

The Souvenir

È già Ieri -2019-

Julie sogna di realizzare il suo primo film.
Lei che studia all'Accademia del cinema pensa ad un lungometraggio, ad un ragazzo che vive in una dimessa città portuale, al suo rapporto viscerale e morboso con la madre.
Ma cosa ne può sapere Julie di attaccamenti materni, di città-operaie?
Lei che viene da una nobile tenuta di campagna, lei che vive a Londra nell'appartamento di famiglia ospitando amici e tenendo feste, lei che si invaghisce del cinico, solitario e misterioso Anthony?
Anthony entra nella sua vita e la stravolge.
Diventa il suo unico inquilino, rifugiato lì per problemi sul lavoro.
Diventa la sua banca, con prestiti sempre più numerosi, cene a sue spese, viaggi da sogno a cui deve provvedere.
Troppo innamorata, o troppo ingenua, per rendersi conto di quanto Anthony la sta sfruttando, di quei buchi sulle braccia che non sono certo ferite accidentali, di quel loro rapporto viscerale e morboso.

28 luglio 2020

Emmy 2020 - Le Nomination

Oggi non è stata solo la giornata dell'attesa conferenza stampa di una 77esima Mostra di Venezia più di nicchia, ma anche il giorno in cui sono state annunciate le nomination agli Emmy.
Sì, sì, lo dico: gli Oscar del piccolo schermo.

Sorprese?
Qualcuna.
Come il tripudio dedicato alla fantastica Watchmen e pure alla fantascientifica The Mandalorian. E poi lei, Zendaya che porta da sola avanti la bandiera della magnifica Euphoria.
Poi certo c'è il non così coinvolgente The Morning Show in cui come anche per Little Fires Everywhere viene snobbata Reese Witherspoon... mi sa che i giurati provano le mie stesse antipatie.

Le conferme?
Sempre quelle, tra Mrs Maisel, The Handmaid's Tale (che torna dopo essere stata giustamente snobbata lo scorso anno), The Crown e ora che sono in pari e aggiornata pure io, le meritevolissime Succession e Better Call Saul, anche se viene esclusa inspiegabilmente quella forza della natura di Rhea Seehorn.

Con qualcosa da recuperare nel mentre (Mrs. America e Ramy in primis) l'appuntamento è ora per il 21 settembre, per un'edizione per forza di cose diversa dal solito


Tutte le nominations:

Stateless

Mondo Serial

Australia: terra di libertà e di speranze.
Meta distante ed agognata, terra in cui galeotti e immigrati sono riusciti a farcela.
Una volta, forse.
Oggi?
Oggi resta la meta da sogno per molti, giovani compresi che lì vanno a lavorare in farm e per campi senza grossi problemi, ma che resta preclusa a chi scappa da una guerra.
Senza visto, senza passaporto l'Australia diventa una meta impossibile.
Perché sì, l'immigrazione arriva pure lì, dopo giorni di mare, dopo naufragi letali, dopo che i risparmi di una vita finiscono in acqua.
I centri d'accoglienza sulla carta sono per l'appunto di accoglienza, non di reclusione. Chi è lì in attesa di essere sentito e accettato (o rispedito a casa) deve essere trattato con ogni diritto, nel rispetto della sua cultura e della sua religione, con attività ricreative, di integrazione e formazione a sostenerlo.
Ripeto: questo sulla carta.