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30 novembre 2014

Rumour Has It - Le News dal Mondo del Cinema


La giornata di ieri è stata senza dubbi monopolizzata da un grande ritorno. Tralasciando dubbi e perplessità sul bisogno di questo settimo episodio, non si può non essere conquistati da questo breve teaser, che fa salire l'acquolina a tutti i fan della saga di Star Wars. Prepariamoci però a una grande attesa, visto che l'uscita in sala è prevista per dicembre 2015.
Meglio, allora, goderci questi frammenti:



Bisognerà aspettare parecchio anche il 24esimo capitolo delle avventure di James Bond, visto che le riprese devono ancora iniziare. Fortunatamente, però, ci sono delle date che interessano noi italiani: da febbraio e marzo la troupe di Sam Mendes sarà a Roma e a Caserta per girare alcune scene che si prevedono ad alto tasso di azione.
Rumors insistenti, poi, fanno aumentare l'attesa: pare infatti che ad interpretare il cattivo della situazione sia un certo Christoph Waltz, nei panni di un istruttore di sci che potrebbe però celare la vera identità di Ernst Stavro Blofeld, il capo della SPECTRE, nemico storico e nemesi di Bond.

Chi invece una saga si prepara a lasciarla è Martin Freeman, che tra pochissimo ci regalerà l'ultima parte de Lo Hobbit. L'attore non perde però tempo, e in attesa di vederlo anche in Sherlock, ha firmato per l'interessante progetto Taliban Shuffle in cui affiancherà l'attrice comica Tina Fey nel raccontarci le vicende della reporter di guerra in Afghanistan e Pakistan Kim Baker. Tratto dalla sua autobiografia, il film diretto quasi sicuramente da Glenn Ficarra e John Requa ne riprende anche lo stile leggero e ricco di black humour, giustificando così le scelte del cast.

Dalla cronaca al film.
Mentre ha fatto il giro del mondo l'annuncio delle imminenti nozze dell'ergastolano e ottantenne Charles Manson con una sua fan di 25 anni, il cinema si prepara a raccontarne la storia, attraverso quella di un gruppo di 8 ragazze indottrinato da Mason e i suoi adepti, e istigate a compiere feroci omicidi. Presentato il progetto al Sundance, sarà di fattura indipendente, con un cast di poco noti (Monica Keena, Tania Raymonde, Laura Harring, Bill Moseley a interpretare Manson, Eric Balfour come Bobby Beausoleil e la pornostar Ron Jeremy) e un budget limitato (2 milioni di dollari).

Visto che i biopic continuano ad andar forte, anche Jean-Marc Vallée si appresta a dirigerne uno, e su un personaggio iconico come Janis Joplin. Per raccontarne la carriera splendente e fulminante, si trasferirà nella Los Angeles che l'ha vista brillare, e ad interpretarla sarà una garanzia come Amy Adams.

Nel frattempo, Reese Witherspoon che proprio con Vallée ha appena presentato Wild a Torino, passa alla TV e assieme a un'altra grande attrice come Nicole Kidman. I due premi Oscar saranno anche produttrici esecutive dell'adattamento del romanzo Big Little Lies di Liane Moriarty. A mettere la firma sul racconto di tre madri diverse tra loro (una ricca e agiata, una single e una divorziata) che dovranno far fronte a una tragedia, quel David E. Kelley creatore di Ally McBeal.
Al momento sia HBO che Netflix si stanno dimostrando parecchio interessate a metterlo nel loro palinsesto.

29 novembre 2014

4 Mesi 3 Settimane 2 Giorni


Nella settimana  in cui, il 25 novembre, si è celebrata in tutto il mondo la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, anche noi blogger abbiamo deciso di schierarci, proponendo film che affrontassero, in tutte le sue derivazioni, questa violenza.
Che sia fisica o psicologica, la violenza deve finire, e deve essere denunciata. E a volte, registi e attori ci riescono in modo più che efficace.
La violenza, però può anche essere nascosta tra le maglie di leggi di un governo che non tutela, che non protegge, che spinge a scelte contro il proprio benessere fisico o psicologico per l'appunto.


E' il caso della Romania, in cui l'aborto alla fine degli anni '80 non è consentito, in cui migliaia di giovani donne si vedono costrette a ricorrere a metodi e dottori illegali pur di interrompere una gravidanza non cercata, il più delle volte, o non possibile da mantenere, tra pressioni di famiglia e di una società che ti marchierebbe, tra situazioni economiche non certo favorevoli.
Gabita si trova in questa situazione.
E si trova ancora più punibile visto che la sua gravidanza è arrivata ormai al quarto mese.
Gabita  però ha da subito un difetto: non la si compatisce, anzi.
Scarica tutte le responsabilità del caso all'amica e compagna di stanza nello studentato in cui vivono, Otilia, mandando lei a confermare una prenotazione in un albergo ormai non più disponibile, mandandola a conoscere quel medico che la aiuterà, mentendo sui mesi della sua gravidanza, sul loro rapporto, dimenticando la tela cerata per evitare di sporcare il letto in cui il suo bambino uscirà.
In questa sua inettitudine, in questa sua mancanza di polso, grava un giudizio a cui è impossibile non sottrarsi, mettendoci così dalla parte di quella società pronta a giudicare, pronta ad accusare e a non aiutare.
Fortunatamente, Otilia è forte, e accetta tutte queste responsabilità, anche la più dura di tutte, facendosi carico di scelte che vanno ben oltre la semplice amicizia.
Otilia si fa così portavoce di tutti i nostri dubbi, sciogliendoli e portando anche se stessa e la sua vita a riflessioni che una situazione così complicata comporta, trovandosi sola in mezzo ad intellettuali che blaterano a caso, trovandosi sola pur con un ragazzo che la ama ma che non sembra capirla.


Cristian Mungiu ci mostra queste due ragazze allo sbando in una sporca e decadente Romania, ci mostra la vita in comune fatta di compere al mercato nero, di prestiti e di aiuti.
Ma ci mostra anche il lato negativo di questa mancanza di aiuti, di questo ricorrere a metodi illegali, con la violenza che si fa così non solo dello Stato e non solo tra le leggi, ma anche fisica, di chi si approfitta della situazione.
Sporco e buio, il film va avanti facendo di Otilia la vera protagonista, seguendola nelle sue camminate e nelle sue fughe, nei suoi dubbi e nel suo dolore, nella deprimente stanza di un albergo o tra le strade di Bucarest, mostrandoci così una donna che pur subendo, reagisce, che ci guarda negli occhi e ci spinge a non dimenticarla, anche nel segreto.


Questo post, fa parte dell'iniziativa No more excuses - A week without violence proposta dall'amica Alessandra di Director's Cult.
Qui trovate il programma completo:

28 novembre 2014

Due Giorni, Una Notte

Andiamo al Cinema

Avete davanti a voi un foglio, il gesto da fare è semplice, cerchiare la vostra scelta: 1000 euro o dare la possibilità a una vostra collega di tornare a lavorare, riprendendo il suo posto?
Quei 1000 euro vi farebbero proprio comodo, avete la casa da ristrutturare, siete l'unico a portare a casa uno stipendio, vostra figlia all'università ha ancora bisogno del vostro aiuto.
1000 euro non sono mica briciole, anzi, potete pagarci un anno di bollette, volendo!
E poi, quella lì, quella Sandra, se ne è stata a casa per mesi, depressione, dice, e a guardarla non sembra stare poi tanto bene. Perchè rinunciare a 1000 euro per una che potrebbe stare a casa già domani? mentre noi qui siamo riusciti a tirare avanti senza di lei senza troppa fatica, anzi, se c'era qualche ora di straordinari da fare, ben venga, di questi tempi.
1000 euro.
Basta un cerchio.


Ma aspetta.
E se fossi io al suo posto? Se il capo avesse scelto me come capro espiatorio, come vittima sacrificale in questo momento di crisi?
Ce l'ho fatta fino adesso a tirare la cinghia e ad andare avanti lo stesso e con dignità, l'altro mio piccolo lavoro in nero mi aiuta, e poi chissenefrega di mio marito che urla e strepita come se quei 1000 euro fossero già suoi!
Stiamo parlando di un'amica, di una collega, di una persona umana.
E ti credo se ricasca nella depressione con tutte queste pressioni addosso.
Basta un cerchio.
E gli altri che faranno, però? Se vinciamo, come mi tratteranno, come il capo stesso tratterà il mio contratto a tempo determinato che scade giusto giusto fra poco?
Basta un cerchio.
E io ho 1000 euro e lei viene licenziata.
O lei torna a lavorare e io ho una coscienza pulita.


Mi metto nei suoi panni, allora, in quelli di una Sandra dimessa e fragile, pronta a scoppiare in lacrime, e questa volta non certo per un nonnulla, ma per un lavoro e per entrate sicure che servono a mantenere una famiglia, una casa e un matrimonio che sembrano sbriciolarsi dopo la dura scelta che il capo ha imposto.
Sandra, con il marito a sostenerla nella buona e nella cattiva sorte, in due giorni e una notte busserà a porte, suonerà campanelli e rincorrerà colleghi che si nascondono, che non cambiano il loro voto ma che a volte, come lampi a ciel sereno, riportano un po' di speranza in lei, la fanno sentire meno sola, meno pietosa.
In questi panni, naturali e reali come forse non l'avevamo mai vista, c'è una splendida Marion Cotillard, che dà l'ennesima prova di grande attrice, alle prese con un dramma del quotidiano a firma di quei fratelli Dardenne portabandiera del neorealismo contemporaneo.
La storia che ci raccontano non è solo quella di una scelta e di una crisi economica che va a toccare anche quella dei sentimenti e dei valori umani, ma è soprattutto il viaggio di una donna all'interno della sua fragilità, che si fa forze per tornare a sorridere, per imporsi, anche perdendo.
Nel fare questo, nonostante un tema simile che può facilmente scivolare nel patetico e nel buonismo, rimangono in perfetto equilibrio, coinvolgendo, mettendo lo spettatore davanti a quella stessa scelta, davanti a quella possibilità.
La soluzione finale, lieta pur se amara, è la ciliegina sulla torta di un film, e di una donna, che in due giorni e una notte riescono a farci cambiare prospettiva, a farci tornare la speranza, e anche un sorriso.


27 novembre 2014

Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite al Cinema

Con Hunger Games ancora a occupare la maggior parte delle sale, le nuove uscite si fanno meno interessanti, calando gli assi delle commedie natalizie e di animazione per attirare le famiglie.
Nel resto, però, ci sono film da Festival a cui uno sguardo non si nega.
Ecco quindi i consigli per un caldo weekend al cinema:

Trash
Vincitore all'ultimo Festival di Roma ha tutte le carte in regola per piacere: la sceneggiatura di Richard Curtis (Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e il delizioso Questione di tempo), la regia di Stephen Daldry (Billy Elliot, The Hours) e la storia avventurosa di tre amici che trovando un portafoglio in una discarica, daranno inizio a fughe e rincorse alla ricerca del proprietario.
Da vedere.
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Melbourne
Una coppia di giovani iraniani è pronta a lasciare il Paese per trovare fortuna in Australia.
Ma più di un incedente li intralcia, minando il loro rapporto.
Acclamato a Venezia, dove l'ho saltato per cause di programma, lo si dovrebbe decisamente recuperare.
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Viviane
Siamo in Israele, qui, ma i problemi non sono meno leggeri, visto che la protagonista si ritrova ad aspettare come reietta che il suo divorzio venga ufficializzato. Il marito allunga di proposito i tempi, smascherando un sistema giudiziario antico e bigotto.
Presentato a Cannes, suscita sicuro interesse.
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Ogni Maledetto Natale
Ora non le possiamo più chiamare solo commedie nostrane ma anche alternative (forse) più intelligenti ai cinepanettoni. Forse solo perchè a metterci la firma sono gli autori di Boris, e perchè nel cast si trovano comici solitamente arguti (Alessandro Cattelan, Marco Giallini, Corrado Guzzanti, Alessandra Mastronardi, Valerio Mastandrea, Laura Morante, Francesco Pannofino, Caterina Guzzanti).
Il risultato, al di là dello scontato incasso ricco, lo scoprirà chi avrà voglia di vederlo. Io passo.
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Mio Papà
Giulio Base alla regia e Giorgio Pasotti alla sceneggiatura, oltre che protagonista... aiuto?
Probabilmente è meglio chiamarlo, visto che anche nella trama -un donnaiolo che si innamora della conquista di una notte e deve fare i conti anche con suo figlio- non troviamo nulla di originale.
A completare il cast: Donatella Finocchiaro, Fabio Troiano, Ninetto Davoli.
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Perfidia
Distribuzione con il contagocce per un film il cui protagonista (un 35enne orfano di madre, senza lavoro, senza donna e senza aspirazioni di alcun genere), mette depressione già dal Trailer.







I Pinguini di Madagascar
La Dreamworks prosegue il suo sfruttamento degli animali di Madagascar concentrandosi sui soli Skipper, Kowalski, Rico e Soldato, già protagonisti della serie animata in TV. Le risate sembrano garantite, e uno sguardo glielo si dà, ma la sensazione è quella, per l'appuntamento, di un ennesimo capitolo con cui guadagnare.
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Cub - Piccole Prede
Il poster dice: morivano dalla voglia di diventare boy scout... Basta questo a segnare un film dedicato ai più giovani che con ogni probabilità deriderebbero anche loro.
Il Belgio e il terrore non vanno certo a braccetto.
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I Vichinghi
Sulla scia del successo di Vikings, gli sporchi vichinghi tornano al cinema. Questa produzione svizzero-tedesca-sudafricana non sembra però delle migliori, anzi.
Meglio History Channel.
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26 novembre 2014

Alla Ricerca di Vivian Maier

E' già Ieri -2013-


Le foto che vedete in questo post non sono di un fotografo famoso, non sono state esposte in un museo né fanno parte di una collezione privata.
Non sono state scattate nemmeno da un fotografo professionista, che ha fatto per l'appunto della fotografia la sua missione, né sono state mostrate a qualcuno, e non parlo solo di un agente o il curatore di una qualche galleria, ma proprio a nessuno.
Alcune nemmeno il fotografo stesso le ha viste.
Questo almeno fino al 2007.
In quell'anno, infatti, John Maloof comprò ad un'asta uno scatolone carico di negativi, sperando di trovarci foto storiche da utilizzare per il libro che stava scrivendo.
Quello che vi trovò, invece, furono delle foto splendide, che anche un occhio non esperto come il suo giudicava esteticamente curate ed emozionanti, che avevano come protagonisti la gente di strada, immortalata nel suo vivere e nella sua quotidianità.
Non sapendo che farne, non essendo adatte al suo libro, e non avendo notizie su chi le avesse scattate visto che anche google non aveva dato risultati, decise di metterle in rete, creando un piccolo blog che grazie alla bellezza di queste foto aumentò le sue visualizzazioni.


Dalla reazione di questo pubblico, di persone esperte e non che vedevano nell'occhio che aveva immortalato attimi carichi di normalità e di splendore, è partita la volontà di John di scoprire di più su questa Vivian Maier.
E questo documentario ci racconta non solo le sue ricerche, ma le sue scoperte, andando a farci conoscere una donna che poteva essere ma non è stata, che è stata e che non è rimasta.
Rintracciati gli altri scatoloni venduti a quella fatidica asta, John inizia a comporre l'enigmatico puzzle di Vivian, scoprendo in lei una semplice... tata.
Esatto.
Nata a New York nel 1925, Vivian senza una famiglia alle spalle o come appoggio, fece dell'educazione dei bambini il suo lavoro, approfittando di ogni momento libero per scattare foto, grazie alla kodak brownie che aveva sempre al collo.
Il suo sguardo, a volte ironico, a volte pieno di pietà, ha raccontato in 70 anni le strade di Chicago e dell'America, della Francia e del Messico, ma quelle foto non solo nessuno le vedeva, ma molto spesso lei stessa non le sviluppava.


Il documentario ce la fa conoscere attraverso fasi della sua vita e della sua persona che mostrano una donna forte e fragile.
Non sono solo le sue opere a dirci questo, ma sono le parole di chi l'ha conosciuta, di chi da lei si è fatto accudire o di chi le è stata amica, pur non conoscendola, pur non sospettando nemmeno per un momento la sua bravura dietro quella macchina.
Come una piccola indagine su una piccola donna, il documentario prosegue avvolgendo e avvinghiando lo spettatore a saperne di più, usando una narrazione semplice e quasi cronologica, utilizzando interviste e pareri di esperti, facendo allo stesso tempo dei dubbi morali e etici di John parte del racconto.
Le sue scoperte, ma prima di tutto quanto Vivian ha lasciato, giustificano l'intrusione nel suo privato di cui ci facciamo complici, perchè privandoci dei suoi lavori, questo mondo, e quello della fotografia, sarebbe molto meno bello e affascinante.


25 novembre 2014

The Newsroom - Stagione 1

Quando i film si fanno ad episodi.

Quando ero relativamente più giovane avevo parecchi sogni nel cassetto, e man mano che i miei studi avanzano, alcuni abbandonavano la scrivania per finire nel cestino, altri lì rimanevano, fissi come ideali e come speranze sempre più alimentate.
E' stata una sera di non so quale anno, di certo era estate e di certo all'università ci andavo da un po', che decisi: sì, scriverò di cinema. Questo è quello che voglio fare.
In questa mattina in cui mi ritrovo ad avere 26 anni mi ritrovo anche a scrivere di cinema, sì, ma non come lo avevo sognato, non in una frenetica redazione, vuoi perchè di frenetiche redazioni non è così pieno il mondo, vuoi perchè per prima non ho voluto impegnarmi o semplicemente spostarmi da affetti e famiglia per cercarla, questa redazione, vuoi perchè, in fondo, il piccolo schermo che ho davanti, il silenzio che ho attorno, mi bastano.
Non la sento una disfatta, quindi, non mi sento non realizzata ora che l'ostacolo dei 25, ora che i musei in giro per l'Europa dovrò pagarli.
Però, però...


Però vedere The Newsroom mi fa capire come quello sarebbe un lavoro e un luogo di lavoro dove mi sentirei ancor più realizzata, dove le notizie si rincorrono, e poco importa se di cinema non si parla.
Sono le persone, sono i loro mezzi e i loro credi a rendere quelle scrivanie ingombre, ancora più piene di vita.
Il recupero di questo ennesimo successo marcato HBO e come sempre dovuto alla sua imminente conclusione, con i pochi episodi di una terza e conclusiva stagione al momento in onda.
Oltre a questo fatto che come noto (vedasi Sons of Anarchy, Mad Men, Breaking Bad tra le altre) fa scattare il mio allarme, anche quegli Emmy conquistati, in particolare quello a Jeff Daniels che un paio d'anni fa riuscì a battere un certo Bryan Craston, avevano mosso il mio interesse.
E quindi, via, si viene immersi in quella che è la realizzazione di un notiziario che non vuole più essere accomodante, che se ne frega di star e starlette, di gattini e cuccioli, di omicidi e storie che suscitano ascolti, sì, ma a discapito delle vittime e della loro dignità.
Un'utopia?
Quasi.
Ma non se a gestire il tutto è un pezzo da novanta come MacKenzie McCale, P.E. con le palle, che tornata dai suoi reportage ritrova nell'ex fidanzato Will McAvoy la persona da salvare, e con lui il suo notiziario. Insieme i due rivoluzioneranno temi e modi di porsi allo spettatore, facendo della gioventù del resto dei collaboratori il loro punto di forza.
Ma The Newsroom non è solo il racconto di fatti e avvenimenti fondamentali accaduti -almeno in questa prima stagione- dal 2010 al 2011, è anche e forse soprattutto l'intrecciarsi di storie personali, con l'amore in ballo non solo tra i due protagonisti, ma anche tra il pericoloso triangolo Maggie-Don-Jim a cui si unisce ben presto Lisa.
Non mancano infine tutte le potenzialità del web e dei social che attraverso Neal crescono, diventando fonte di notizie e di smentite, e i meccanismi pubblicitari e produttivi che ci vengono svelati.


La redazione dell'ACN diventa in pochi episodi il luogo di lavoro ideale, dove se hai una parlantina hai una marcia in più, dove già ti sei affezionato a ogni membro della redazione.
Il merito non è solo di interpreti che dopo un'iniziale tentennamento diventano un tutt'uno con i loro personaggi, ma di uno sceneggiatore e produttore come Aaron Sorkin che fa dei dialoghi veloci e serrati, dei tempi e dei ritmi senza pause il suo marchio di fabbrica.
La costruzione di ogni singola puntata è poi ineccepibile, andando avanti e indietro nel tempo, scoprendo man mano nuovi tratti delle personalità coinvolte, che sia attraverso una seduta dallo psicologo che in una riunione di lavoro.
Non mancano, certo, discorsi patriottici che altrove potrebbero risultare un po' patetici, soprattutto per come vengono sottolineati dalla colonna sonora, ma il risultato, soprattutto per quanto si professa e per come il News Night diventa il telegiornale con cui non cambieresti canale, è più che promuovibile.
In conclusione, ti trovi nel giorno in cui i tuoi 26 anni si compiono, ad aggiungere un nuovo sogno in quel cassetto, in cui realtà e finzione si mescolano, in cui passato e futuro si incontrano ancora una volta.


24 novembre 2014

The Inbetweeners - Stagione 1

Quando i film si fanno ad episodi.

I tempi del liceo se ne sono andati da parecchio ormai, e così fa sempre un po' strano ritrovarsi a vedere tutte le paturnie, tutte le fisime che ci si faceva a quell'età per un nonnulla, per un vestito sbagliato, per la tipa/o che ci piaceva, per non essere l'emarginato di turno.
Ma se a mostrarti tutto questo sono gli inglesi, e se nel farlo danno vita a una comedy in cui le risate vanno al pari passo con le volgarità per niente sottili, la visione non può che essere spassosa e dovuta.
Grazie a mia sorella che The Inbetweeners se lo vedeva in tempi non sospetti, ho deciso quindi di andarmi a recuperare una serie composta non solo da tre brevi stagioni, ma pure da 2 film che, passata oltreoceano, non ha avuto la stessa fortuna.
Il motivo è presto detto: se gli inglesi con il loro humour fanno anche delle frasi più sboccate un compendio anatomico di risate, lo stesso ai cugini americani scivola in una grossolanità non così giustificabile.


Ma torniamo al Rudge Park Comprehensive, dove il loser Will si trasferisce e cerca fin da subito di distinguersi dagli altri reietti neoarrivati cercando di farsi nuovi amici.
Ce la farà?
A fatica, non bisogna nasconderlo, perchè non solo esternamente (con il suo suits e la sua ventiquattrore) ma pure internamente (con la sua pedanteria e la sua precisione), Will non è certo un tipo cool, anzi. Fortunatamente sulla sua strada incontra lo spavaldo Jay, l'imbranato e innamorato Simon e il non certo brillante Neil, che lo coinvolgeranno loro malgrado -almeno inizialmente- in avventure al limite del legale, con il solo scopo ultimo di perdere la verginità e non finire picchiati da bulli.
Come nelle più classiche commedie teen, non mancano gli equivoci e le cadute, e ogni puntata diventa così motivo di insegnamenti e riflessioni neanche troppo profonde, facendo un ritratto ricco di ironia e senza peli sulla lingua o lo stomaco degli adolescenti dell'anno 2008 e di sempre.
In soli sei episodi, ci si affeziona immediatamente a questo quartetto, da cui ci si aspetta sempre la mossa più sbagliata con gag e frasi che diventano nel breve tempo di un episodio, iconiche.


Biglietto, Prego! - Il Boxoffice del Weekend

Chi avrà conquistato il primo posto questa settimana?
Ma che, c'è davvero da chiederlo?
Ovvio che no, visto che Katniss non solo straccia tutti, ma batte la soglia dei 4 milioni di incassi cosa più che rara di questi tempi, segnando finalmente un bel record in questa stagione titubante.
A seguirla, purtroppo o per fortuna, due commedie nostrane e il Nolan che non demorde. Sorpresa poi nel vedere entrare a una settimana di distanza dall'uscita i fratelli Dardenne e I pinguini che erano invece visibili solo in anteprima e solo in alcune città.
A rimanere fuori, infine, I toni dell'amore e My old lady che forse meritavano qualcosina in più.


I dettagli:

1 Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I
week-end € 4.281.735 (totale: 4.281.735)

2 Scusate se esisto!
week-end € 1.569.693 (totale: 1.569.693)

3 La scuola più bella del mondo
week-end € 1.275.354 (totale: 4.325.328)

4 Interstellar
week-end € 1.241.541 (totale: 8.241.509)

5 I pinguini di Madagascar
week-end € 1.067.090 (totale: 1.067.090)

6 Andiamo a quel paese
week-end € 951.007 (totale: 6.665.554)

7 Il mio amico Nanuk
week-end € 482.743 (totale: 1.538.672)

8 Due giorni, una notte
week-end € 314.374 (totale: 405.027)

9 Clown
week-end € 312.726 (totale: 1.179.317)

10 Il giovane favoloso
week-end € 191.608 (totale: 5.795.390)

23 novembre 2014

Rumour Has It - Le News dal Mondo del Cinema


Dopo l'Oscar vinto con 12 anni schiavo, Steve McQueen tentenna ancora sul da farsi per il suo futuro. Due sono infatti i progetti in ballo, e non è chiaro quale prevarrà sui tempi.
Il primo riguardo un biopic di nuovo a tema diritti civili, e ci racconterà la storia di Paul Robeson, cantante (sua Ol' man river), avvocato, atleta e attore che negli anni '30 si fece figura di spicco all'interno del movimento per vedere riconosciuti i diritti fondamentali alle persone di colore.
Il secondo riguarda invece un remake o reboot della miniserie del 1983 Widows. Composta da sei episodi, aveva per protagoniste 3 moglie di altrettanti criminali rimasti uccisi durante una rapina.
Le storie appaiono molto diverse tra loro, solo il tempo e la pazienza ci diranno su quale le mani di McQueen si poseranno prima.

Nick Hornby e il cinema sono da lunga data legati, e non solo perchè molti dei suoi romanzi sono passati su grande schermo (Alta Fedeltà e About a Boy i più famosi), ma anche perchè lo scrittore si diletta in sceneggiature (sua quella dello splendido An Education). L'interesse sale quindi per il suo prossimo lavoro, I Would Only Rob Banks for My Family, storia vera di una famiglia texana che compiva rapine in gran segreto. Alla regia Jason Reitman, che dopo Juno e Tra le Nuvole potrebbe ancora fare centro.

Chi invece il centro lo manca da parecchio è Mel Gibson, che potrebbe però tornare alla regia dopo i discussi La Passione e Apocalypto. Questa la volta la storia che ci vuole raccontare è molto più semplice e vicina nei tempi, ed è quella di Desmond T. Doss, eroe di guerra che non sparò mai un colpo perchè contrario all'uso della violenza e delle armi. In qualità di medico sul campo, salvò così numerose vite, finendo più volte ferito. Ad interpretarlo potrebbe essere Andrew Garfield, particolarmente attento a scegliere ruoli impegnativi che non lo leghino al suo Spiderman.

Pericoloso invece il remake che vuole affrontare uno come Paul Greengrass, famoso per la trilogia di Jason Bourne e per il buonismo in cui ha immerso il suo Captain Phillips. Il regista ha messo gli occhi come se ce ne fosse ancora bisogno sul 1984 di George Orwell, auspicando, dopo gli impegni con il nuovo Bourne che vede il ritorno di Matt Damon, di farne un'altra trasposizione.

Charlie Hunnam prosegue la sua carriera cinematografica ora che il suo Jax sta per portare a termine l'avventura con i Sons of Anarchy. Vedremo presto l'attore assieme a Rosamunde Pike (che aspettiamo con ansia in Gone Girl) in The Mountain Between Us, love story a livelli critici perchè tra due sconosciuti sopravvissuti a un disastro aereo.
Le riprese di questo nuovo Lost/Alive/Travolti dal Destino inizieranno a fine 2015, abbiamo tutto il tempo per capire che direzione prenderà la sceneggiatura.

Per il ciclo ormai anche la TV è cinema, Martin Scorsese mette in sviluppo una nuova serie dopo la chiusura di Boardwalk Empire. Al suo fianco in veste di produttore e forse anche di attore, Benicio del Toro, per la trasposizione delle gesta del conquistatore Hernán Corté, che nel '500 legò il suo nome all'Impero azteco e maya.
Per saperne di più, basterà aspettare notizie a riguardo dalla HBO.

Anche FX si concentra su un avventuriero e lo fa associandosi con la BBC e i suoi nomi di punta: Steven Knight alla sceneggiatura e Tom Hardy all'ideazione e come protagonista. Dopo averli visti recentemente insieme in Locke e televisivamente parlando in Peaky Blinders, i due in Taboo ci racconteranno la storia di James Keziah Delaney che tornato a inizio '800 ricco dall'Africa, metterà appunto un piano contro la compagnia delle Indie per difendere la famiglia e vendicare il padre.
Per vedere cosa ne uscirà, bisognerà però aspettare il 2016.

22 novembre 2014

Il Capitale Umano

E' già Ieri -2014-

Alla sua uscita al cinema la poca voglia, la mancanza di accompagnatori ma soprattutto la poca voglia non mi fecero andare a vedere Il Capitale Umano.
E sì che l'ultimo film di Paolo Virzì, quella romcom all'italiana particolarmente romantica che è Tutti i santi giorni l'avevo particolarmente amata.
Ma niente.
A distanza di qualche settimana, con le critiche più che positive che si ammucchiavano, con quei siti di riferimento che lo promuovevano, con amici fidati che mi invitavano alla visione, niente, la voglia non saliva, il naso continuava a storcersi.
Passati i mesi, archiviati commenti entusiastici, arriva il David di Donatello, soffiato al premio Oscar La Grande Bellezza, con tanto di polemiche e partiti tra i due Paolo in gara.
Ma niente, anzi, l'amore romano per Sorrentino e Servillo mi facevano vedere ancora meno attraente quella Milano bene.
Siamo a pochi mesi fa, quando la notizia che sarà proprio Il Capitale Umano a rappresentarci agli Oscar edizione 2015, riaccende un piccolo campanello, la voglia del recupero un po' si anima, almeno per dovere di cronaca e di completezza, visto che a breve sarà tempo di tirare le somme di questo 2014 cinematografico.
E allora ti metti lì, nella serata libera, armata di gatto-coperta-divano, e premi play.


Ti ritrovi in Brianza, nelle ville extralusso dei milanesi bene, con il loro accento strafottente prima che fastidioso.
E ti trovi davanti un film di quelli che graffiano, che lasciano il segno non solo per la storia che raccontano ma soprattutto per come la raccontano.
Per ricostruire chi e come ha investito un ignaro e innocente ciclista, Virzì compone un film a quattro tempi, con tre protagonisti, e solo seguendoli, passo passo, ogni pezzo finisce nel posto giusto, ad ogni azione viene ricondotta la sua conseguenza.
Abbiamo Dino, uno che nella Milano bene vorrebbe tanto entrarci, e che vede nel fidanzato della figlia il biglietto di ingresso, tanto da addentrarsi con il suo fare viscido e finto bonaccione tra le grazie dei Bernaschi e concordare un affare che potrebbe finalmente arricchirlo. Peccato che la moglie sia incinta, e di due gemelli, e che i soldi per entrare nell'affare non li abbia.
Abbiamo Carla, moglie nevrotica e malinconica, che nasconde dietro acquisti e shopping compulsivo la precarietà del suo matrimonio e la sua vita infelice, trovando nel progetto di salvare un vecchio e storico teatro l'occasione per rinascere, per riscoprire anche un po' di amore, inevitabilmente portato a infrangersi.
Abbiamo Serena, che da sola ha più testa di tutti gli adulti presenti, che di stare con Massimiliano Bernaschi non ne ha proprio voglia, né con i suoi amici scapestrati che si divertono con i soldi di papà. E così il problematico Luca si fa interessante, il suo essere vero, anche se con tutte le difficoltà del caso, è molto più affascinante e attraente del mondo di macchinoni, droga e party a cui si è abituata.
Ma non sa che sarà proprio lei il filo conduttore della vicenda, la costante per cui tutto si possa collegare e portare a quell'incidente, a quella morte.


L'ultimo capitolo di un film ad incastro, è proprio il Capitale Umano, e quei fili li tira, mostrandoci da lontano quanto costruito, quanto lasciato e fatto.
Quello che ne esce è un ritratto impietoso di padri e madri che prima di rovinare il Paese hanno rovinato i loro figli, con la certezza che pur nella giustizia quello che si compie ha il sapore amaro dell'ingiustizia.
Nel dramma che Virzì compone, quindi, i graffi non mancano, né a quella Brianza che si è sentita mal rappresentata né ad un cinema italiano che quando si discosta dalle solite commedie esalta e fa applaudire.
Perchè come detto non è solo la storia, ben scritta e avvolgente, che lascia il segno, ma anche la maestria di come questa ti è raccontato, attraverso tempi che avanzano e tornano indietro, che scoprono, finalmente, che mostrano.
La mano esperta di Virzì si estende ai suoi attori, che danno sostanza anche ai cliché, e così l'odio verso il diverso modo di essere subdoli si fa palpabile in Fabrizio Gifuni e Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino e Luigi Lo Cascio, seppur relegati, si fanno umani e teneri, e la sibilante Valeria Bruni Tedeschi riesce a fare dei suoi difetti di attrice di nicchia i suoi punti forti.
Ma la vera sorpresa sta nei giovani, nell'esordiente e folgorante Matilde Gioli che incanta e convince come difficilmente succede da queste parti per parti simili.
Con il senno di poi, quindi, quei giorni, quelle settimane e quei mesi di poca voglia e di naso sempre più storto, sono stati spazzati via in una serata, in cui ci si è ricreduti, e si ha assistito a un film che meritatamente e immeritatamente ci rappresenta e ci rappresenterà.


21 novembre 2014

torneranno i prati

Andiamo al Cinema

torneranno i prati lì dove la neve si ammucchia furiosa
tornerà a crescere l'erba, ancora più verde, nella terra arida che accoglie con il suo calore un manipolo di soldati
tornerà la quiete nelle montagne, lì dove le bombe continuano ad esplodere furiose, lì dove la notte, anche la più calma anche la più chiara, rimane guardinga
tornerà del colore dell'oro quel larice che ora brucia, che le fiamme ardono e distruggono
la luna stessa, così mite e maestosa, tornerà a splendere sull'innocenza e la pace, laddove ora è complice del nemico, mostrando con la sua luce le ombre del pericolo, mettendo in pericolo
torneranno i prati, più belli perchè più ricchi, con la neve e le ceneri a fargli da concime, con le vite e i corpi abbandonati su di essi, a loro regalati
tornerà la pace, forse
la normalità, quella no, non tornerà per quei giovani chiamati alle armi, per quei giovani mandati allo sbaraglio nel freddo e nella neve, tra le montagne, a sorvegliare un nemico così vicino
come può tornare se la normalità non c'è nemmeno ora, nemmeno ora che chi se ne sta al caldo nel tranquillo ordina ordini suicidi, mandando a morte sicura e certa?


La normalità non può tornare e non può esserci, ma può essere raccontata.
Può essere con estrema semplicità messaci davanti agli occhi, senza bisogno di effetti speciali, senza grandi location e giri per il mondo, senza troppi trucchi, senza inganni.
Perchè la guerra era questo, era normalità, normalità nel dormire sotto la terra in cui poi si veniva seppelliti, stretti in trincee dove il calore faticava a stiparsi, dove il rancio e la posta a fatica arrivavano, dove i gradi, dove gli ordini, contano più degli ideali e della morale, del diritto alla vita.
Ermanno Olmi ci immerge totalmente nella vita di trincea, ci fa respirare il puzzo della guerra, ci fa percepire il freddo, i brividi, la paura.
E lo fa con la poesia.
Lo fa con immagini che incantano, anche nella durezza, con la natura che contempla l'uomo, che scorre placida al suo fianco, che sia una volpe con le sue abitudini, una lepre coraggiosa, o un albero che in sogno si ricopre d'oro, o la luna, che silenziosa fa da guardia, fa da spia.
Ma questa poesia sta nella terra, appunto, sta sotto di essa, e si interrompe, viene bruscamente colpita da bombe, da squarci e da spari.
Dalla morte.


Quello che Olmi ci mostra, nell'anno in cui ricorrono i 100 anni dallo scoppio di quella I Guerra Mondiale, è la guerra nel suo compiersi, nel suo essere insensata, nel suo essere fatta da uomini qualunque, da padri, da figli, da mariti, usati come marionette senza valore, mandati a vivere o a morire seguendo carte e cartine.
Il nemico non si vede, si sente solo, ma lo si immagina nella stessa situazione, nello stesso freddo e nella stessa paura, lì dove basta una canzone cantata con il cuore a sciogliere entrambi.
Le parole che sentiamo sono esse stesse normali, prese da lettere, da riflessioni e riportateci in un impianto quasi teatrale con tutta la loro forza, per essere ascoltate, per non essere dimenticate.
Perchè è sempre più facile chiudere gli occhi e non sentire, e sempre più difficile trovare chi abbia voglia di parlare, chi ne sappia parlare, chi lo abbia vissuto.
E allora torneranno i parti si fa necessario, con i suoi difetti, con la sua brevità, per ricordare, perchè di padri, che parlano ai figli della loro vita da soldato, purtroppo non ce ne sono più.
Perchè lì dove il sangue e le bombe infuriavano, l'erba è ricresciuta a ricoprirli.


20 novembre 2014

Silenzio in Sala - Le Nuove Uscite al Cinema

Quando i film di punta di una stagione compaiono, tutto il resto passa in secondo piano, dando così anche alla possibilità ai distributori di proporre pellicole che difficilmente verrebbero messe in circolazione.
Nel weekend dedicato all'eroina Katniss Everdeen, c'è spazio però anche per la solita commedia italiana, e per qualche chicca che sarebbe il caso di non perdere.
Per capire quale, scorrete i consigli:

Hunger Games: Il Canto della Rivolta - Parte I
Eccoci finalmente arrivati all'ultimo capitolo della saga di Hunger Games, che come da tradizione per la gioia dei produttori viene spezzato in due parti. Rimasti in sospeso con La Ragazza di Fuoco, con gli occhi di Katniss pronti ad aprirsi in un mondo sicuramente sull'orlo di una crisi d'identità e di un risveglio collettivo, siamo pronti a correre in sala a continuare l'avventura.
Al confermato cast di sempre, si aggiungono Julianne Moore e Nathalie Dormer, tra le altre.
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My Old Lady
Amanti delle commedie con/sui vecchietti, accorrete, c'è un altro film che fa per voi noi.
Protagonista è la splendida Maggie Smith, che occupa l'appartamento di Kevin Kline, da lui ereditato dopo la morte del padre. Con lei, anche la viziata figlia Kristin Scott Thomas, a dar vita a una lunga e spossante battaglia verbale e legale, che farà luce però sul passato di tutti.
Ciliegina sulla torta, l'ambientazione parigina.
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I Toni dell'Amore
Amanti delle commedie con/sui vecchietti, accorrete, c'è un altro film che fa per voi noi.
Protagonisti questa volta un pittore e un insegnante di pianoforte, che vivono serenamente assieme da quasi 40 anni, accettati da famiglia, lavoro e amici. Tutto cambia quando decidono di sposarsi: perderanno lavoro e appartamento, dando il via a una girandola di ospitate.
John Lithgow, Alfred Molina e Marisa Tomei protagonisti, lacrime e bellezza assicurate.
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Scusate se Esisto!
Il titolo offre da solo lo spunto per commentare l'ennesima commedia nostrana settimanale, con un cast di soliti noti (Paola Cortellesi, Raoul Bova) e la solita storia su lei (che si arrabbata in tempi di crisi) innamorata di lui che però è gay.
Basta, vi prego.
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These Final Hours
Alla previsione Maya siamo scampati, ma quella messa in scena in questo film australiano è comunque la fine annunciata del mondo. A Perth, l'asteroide che sta distruggendo la Terra a poco a poco, arriverà fra 12 ore, durante le quali James si redime dal passato e porta speranza nel suo piccolo.
La trama, così come la realizzazione, convincono fin là.
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Diplomacy - Una Notte per Salvare Parigi
Francesi e tedeschi si sono uniti nella produzione di questa pellicola che proprio sul loro scontro alla fine della II Guerra Mondiale si concentra. A poche ore dalla liberazione di Parigi, infatti, ordigni che avrebbero distrutto opere e persone erano pronte ad esplodere, a fermarle, un diplomatico svedese, che cercò, riuscendoci, a dissuadere chi quell'ordine lo doveva dare.
Già dalla locandina, si prevede un'attenzione più al contenuto che all'estetica.
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Adieau au Langage
Vincitore del premio della giuria a Cannes, l'ultimo film dell'83enne Jean-Luc Godard ha una trama e un soggetto difficilmente riassumibili.
Il suo nome, annesso al Trailer, bastano però per drizzare le antenne al radical-chic che è in noi.








Chi è Dayani Cristal?
Gael Garcia Bernal dirige e interpreta un documentario che cerca di far luce e dare dignità alla vita di chi aveva un sogno: quello di una vita migliore. Partendo dal corpo senza vita di un messicano trovato al confine con gli Stati Uniti senza documenti e senza possibilità di riconoscimento se non un tatuaggio sul petto con scritto "Dayani Cristal", iniziamo un'indagine piena di speranza.
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Finding Happiness
Documentario ben più divulgativo quello di Ted Nicolau, che racconta l'entrata in contatto della giornalista Juliet Palmer con la comunità fondata da Swami Kriyananda che vive nel nord della California seguendo regole di vita ben diverse da quelle a cui siamo abituati.
Ovviamente, la giornalista cambierà, forse in meglio.
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Sarà un paese
Documentario alla scoperta dei tanti difetti ma anche dei pregi dell'Italia, ad opera di un giovane (Nicola Campiotti) alla sua prima esperienza da regista.
e si vede.
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Vicky il Vichingo
Concludiamo con il film per tutta la famiglia che sarà in sala però solo sabato 22.
Dalla Germania, la rivisitazione live action del grande classico animato su quel combinaguai del vichingo dai capelli rossi.
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19 novembre 2014

Dragon Trainer 2

E' già Ieri -2014-

E siamo sempre lì, a citare il buon Caparezza e a chiederci quanto sia difficile il secondo album per un artista.
In questo caso un secondo film, di una stessa storia. Un sequel, insomma.
E siamo sempre lì a pensare che dei sequel ne abbiamo piene le scatole, oltre che le sale, e che suvvia, un po' di originalità in questo mondo sarebbe ben gradita.
Ma poi pensi che in fondo, a certe storie e a certi personaggi ti sei legato, e che sapere qualcos'altro su di loro, conoscerli meglio e accompagnarli in nuove avventure è un rischio che puoi correre, che insomma, la Pixar già ha saputo stupirti con Monsters University o con Toy Story II e III, perchè non può farlo anche la DreamWorks che con i suoi Shrek c'era riuscita?
Però, aspetta, la Pixar aveva toppato con Cars (di cui già il primo capitolo non era memorabile come il resto della sua produzione), e la DreamWorks non si risparmia dallo sfruttare fino al midollo il suo zoo in fuga a Madagascar, di cui ben presto avremo l'ennesima divagazione, incentrata su I Pinguini, e un po' di paura c'è da averla.
Anche perchè, diciamolo pure, Dragon Trainer è forse il più bel film di animazione prodotto dalla casa di Spielberg, capace di emozionare come pochi altri, e non essere all'altezza di una partenza così promettente è decisamente più facile che non bissare il successo e la credibilità.


Con tutti questi dubbi, ci si approccia alla visione di Dragon Trainer numero 2, ritrovando in un batter d'occhio che fa dimenticare i 4 anni trascorsi, Hiccup e il suo Sdentato e i suoi buffi e intrepidi amici in quel di Berk.
Li ritrovi cresciuti, e parecchio, anche se ancora simili e uguali a loro stessi, e li ritrovi esattamente 5 anni dopo aver sepolto l'ascia di guerra con i draghi, averli accolti e addomesticati, dando loro rifugio e amicizia.
Nulla sembra rompere un tale idillio, ma Hiccup non si può confinare e non può stare lontano dalle sue avventure, e così con Sdentato vola giorno dopo giorno alla scoperta di nuove terre, di draghi da salvare e di persone da istruire. E proprio in una di queste sue fughe viene a sentire per la prima volta il nome di Bludvist, malefico Signore dei Draghi che risveglia nel padre Stoick una folle paura.
Convinto di poter rimediare a tutto, Hiccup fuggirà dalle parole paterne, trovando lungo la sua strada alla ricerca della pace, un passato che finalmente gli consente di trovare il suo posto e il suo ruolo nel mondo, nonchè una guerra, che feroce e violenta si scatena chiamando alle armi e all'azione, con il male che si scontra con il bene, con una crescita e una maturità che mai come ora sono chiamate ad arrivare.


Detta così, la trama al centro di questo sequel non sembra nulla di nuovo e nulla di così emozionante, ma Dragon Trainer c'ha già saputo stupire una volta, e non manca a farlo ancora.
Sì, perchè in una classica storia dove l'eroe è chiamato a prendere posizione, a combattere anche contro i suoi ideali e a veder sacrificato quanto di più caro, c'è più di una lezione che come pubblico impariamo.
E non è solo quella propriamente animalista.
Come già in passato, il lieto fine c'è, ovvio, ma per arrivarci c'è il dolore da superare e gli artigli da tirare fuori, per far sentire la propria voce e zittire anche quella silenziosa di un nemico plasmato evidentemente nel male
In questa lezione che Hiccup ci offre, c'è ovviamente spazio anche per altro, per l'umorismo e per i sorrisi, che draghi miciosi come Sdentato o buffi come Skaracchio inevitabilmente comportano, e anche per quel pizzico di sentimento che non solo è dovuto a una ricongiungimento ma anche a un amore che sboccia, assieme agli ormoni impazziti di Gambedipesce, Moccicoso e Testabruta.
I timori e i dubbi vengono così spazzati via, e sì, questo secondo capitolo non sarà mai all'altezza del primo, che giocava facile con l'effetto sorpresa ma sorprendeva per la sua solidità, ma convince e incanta con ambientazione e disegni mozzafiato, con quella terra lontana di Berk che rivive lieta e che non possiamo essere che felici di aver visitato ancora una volta.


18 novembre 2014

Sherlock - Stagioni 1-3

Quando i film si fanno ad episodi

Per dimenticare la delusione e l'amarezza che la stagione di Doctor Who ha lasciato e lasciava durante la sua messa in onda, ho capito che era arrivato il momento di recuperare una volta per tutte Sherlock.
Sì, Sherlock ma 2.0 però, lo Sherlock creato da un certo Steven Moffat, ambientato ai giorni nostri, con le nostre tecnologie, ma con protagonisti lo Sherlock Holmes dall'intuito sopraffine e il tenero e fedele John Watson di Doyleiana memoria.
Partita relativamente prevenuta da un'operazione che mi sembrava un filino rischiosa, mi sono ricreduta dopo appena 5 minuti, quando la mente geniale e irrefrenabile di Holmes si è messa all'opera dimostrando tutte le sue capacità intuitive.
A fugare ogni dubbio, poi, una realizzazione molto british e molto suggestiva, che dosa sapientemente quanto scorre nella suddetta mente geniale, mostrando a noi per primi dettagli e particolari a cui prestare attenzione.
Composta da sole 3 stagioni da solo 3 (e sottolineo 3) episodi ciascuna, Sherlock si divora in un niente, affascinati da Benedict Cumberbatch e dalla sua sintonia con Martin Freeman come dai loro personaggi.


La prima stagione ci prepara e ci presenta i protagonisti, a partire da Watson, soldato in congedo, ferito più nella mente che nel fisico che trova in Sherlock un coinquilino con cui dividere l'appartamento nel celebre 221 B di Baker Street. Questi è un detective privato, più spesso un consulente esterno della polizia che, nelle vesti di Greg Lestrade non sempre riesce a portare a termine un'indagine.
A fare da gradito contorno, poi, la padrona di casa, la signora Hudson deliziosa vecchina, la buffa e timida dottoressa Molly e l'altrettanto geniale ma meno affabile, se possibile, Mycroft, fratello di Sherlock.
Queste le personalità coinvolte, che ci deliziano inizialmente con quelli che sono casi unici e cervellotici che portano ad un unico comune denominatore alquanto misterioso, che avremo finalmente modo di conoscere nella seconda stagione, dove la folle genialità al servizio del crimine e del male del nemico per eccellenza Moriarty esplode in tutta la sua pericolosità.
Rimasti attoniti e basiti da un finale eccellente dove vorremmo tanto capirci di più, ritroviamo i nostri personaggi in una terza stagione dove il nemico in questione non sembra più una minaccia e dove va ad aggiungersi un nuovo personaggio, quello all'apparenza innocuo ma in realtà volitivo e forte di Mary, compagna di Watson.


I 9 episodi complessivi, chi più e chi meno, sono una vera goduria.
Non solo a livello di idee, ma proprio di sceneggiatura, con la parlantina dei protagonisti che va a mille come i loro frenetici pensieri, avviluppando in un mondo dove davvero anche il minimo dettaglio, una camicia sgualcita, una valigia colorata, possono fare la differenza.
Moffat costruisce una serie fenomenale, in cui non mancano certamente riferimenti al Dottore, con Sherlock e il suo companion che sembrano quasi farne il verso senza però bisogno di un TARDIS o di un cacciavite sonico.
Quello che doveva essere solo un po' di zucchero per indorare una pillola amara, si è così trasformato in una passione folle che mi ha finalmente fatto vedere con gli occhi a cuoricino lo splendido Benedict.
La serie che crea dipendenza (chiedete anche al giovine), è stata ovviamente confermata per una quarta stagione, prima della quale -a gennaio- ci sarà uno speciale ovviamente più che atteso!