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5 settembre 2015
Venezia 72 - Tharlo
Ho cercato di evitarlo, di scansare il più possibile il fantasma del cinema orientale nel mio programma, ma di fronte alle richieste di una madre, non c'è niente da fare.
Armate di tanta pazienza e di un pizzico di curiosità per un film tibetano, ci siamo apprestate alla visione di Tharlo, presentato in concorso alla sezione Orizzonti.
E il risultato è stato sempre quello: il ritmo lento, il ritmo soporifero, fatto di poche parole, di poca azione, ha finito per assopirmi.
Pochi minuti, comunque, nei quali ho condiviso la scena con il protagonista, impegnato anche lui a dormicchiare dopo essersi ubriacato per bene, e rendendosi così incapace di difendere le sue capre dalla furia dei lupi.
Tharlo è infatti un pastore che grazie alla sua memoria di ferro ha in affido numerose bestie, che lui sa distinguere, sa dividere, sa riconoscere.
Andato in città per fare finalmente la carta d'identità che mai ha avuto, il suo destino cambia.
Prima era un uomo chiamato Treccia, che a fatica si ricordava il suo nome, che nemmeno sa quanti anni ha, poi viene tentato, dall'amore e dalla bellezza di una parrucchiera arrivista, che fiuta il potenziale economico del gregge di Tharlo, e si insinua con facilità nella mente di questo semplice e indifeso che conosce alla perfezione i discorsi di Mao.
Il loro incontro, è anche uno scontro tra la nuova e la vecchia generazione tibetana, tra quella più occidentalizzata a quella più tradizionale, nei modi e nei costumi.
La trama si riassume in queste poche righe, mentre Pema Tseden ci mette 123 minuti per mostrarci la speranza e l'inevitabile inganno in cui cade il suo protagonista.
Lo fa portandoci in un Tibet che non conosciamo, fatto di città sporche e tristi, di una natura che sta là fuori nella quale ci si confonde grazie anche ad un bianco e nero altamente poetico. Inquadra il tutto con la macchina da presa fissa, che registra anche i tanti e fastidiosi rumori di fondo, mostrando una staticità che affonda il ritmo.
Il film più che appassionare fa rabbia, per il destino già scritto di un ingenuo che aveva già tutto e che finisce in tragedia, e per la sua impossibilità, già nota, di potermi conquistare.
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