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4 giugno 2018

Il Lunedì Leggo - Trilogia di New York di Paul Auster

È un mantra comune delle indagini su carta e su schermo: un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova.
Il primo indizio che dovessi leggere Paul Auster me lo ha dato Giancarlo Pasquali di MinimalInc. accludendo al bellissimo MinimalIncipit di Anna Karenina un omaggio, proprio quello de la Trilogia di New York. Un po' scontenta per non avere aggratis un incipit familiare, l'ho visto come un'esortazione a leggere un autore di quella letteratura americana che tanto amo, ma che ancora non conoscevo.
Poi, Paul Auster ha invaso l'instagram e i blog di libri, con l'uscita del piuttosto voluminoso 4 3 2 1, ricordandomi che sì, dovevo proprio leggerlo prima o poi, ma magari partire da altro, vista la sua prolificità.
Infine, ci si è messo il viaggio a New York, e se con Frank McCourt sono sbarcata nella città conoscendola poco a poco proprio come faceva lo squattrinato protagonista, ripercorrere vie, strade, e passi assieme a Paul è sembrata la giusta continuazione.



Una Trilogia strana la sua, tre racconti scritti e pubblicati nel giro di due anni, poi racchiusi insieme in un unico volume. Storie poliziesche, accomunate dalla New York che ne fa da sfondo, da protagonisti detective piuttosto strani e che alla fine si scopre avere in comune più di quanto si pensa.
Si parte con Città di Vetro, con uno squillo di telefono che sveglia il ghost writer Daniel Quinn in piena notte e una richiesta di aiuto. Non rivolta a lui, però, ma a un detective privato di nome Paul Auster. Incuriosito dall'insistenza, alla ricerca di materiale da cui scrivere, Quinn accetta quello che si rivela un caso di pedinamento, passando giorni prima, settimane poi e infine mesi, dietro un'ombra scostante, registrandone mosse, movimenti e infine perdendo il lume della ragione.
Si prosegue con Fantasmi, in cui tutti i protagonisti hanno nomi di colore, c'è Blue, altro detective privato, che accetta dal signor White un nuovo caso: spiare il signor Black, fare rapporto ogni mese, osservarlo, non lasciarselo sfuggire. Black scrive, non fa altro, osserva pure lui dalla finestra, vaga, mentre Blue aspetta una svolta, un cambiamento, mentre i mesi passano e la sua vita scorre senza scosse, e le domande sull'utilità del tutto lo assillano, e infine, pure lui perde il lume della ragione, o forse fa parte di un esperimento, di un brutto tiro, di un caso di doppio pedinamento. Chi lo sa?
Infine, si approda a La stanza chiusa, in cui un altro scrittore è protagonista, pure lui in crisi creativa, pure lui che finisce invischiato in un'indagine: ritrovare quell'amico d'infanzia scomparso nel nulla, forse morto, che chiede che i suoi romanzi vengano pubblicati, che per farlo usa la moglie, di cui inevitabilmente il protagonista si invaghisce, si innamora, arrivando a sostituire sempre di più, in ogni parte della vita, quell'amico che non c'è più, ma che sembra ancora vivo e che per questo lo tormenta.


Sono tre storie cupe, dal colore blu, e dai ritmi e dalle svolte che assomigliano molto a quelle dei sogni. Sono protagonisti difficili, pieni di sensi di colpa, di dubbi morali, che si sfogano e si confessano, la cui vera identità sempre sfugge.
La chiave di lettura, però, non è quella di un classico giallo, non si cercano colpevoli, non c'è un vero e proprio e lineare caso da risolvere, ma c'è una creazione in atto.
C'è un dipanamento strano che si capisce -o quasi- solo alla fine.
È la stessa scrittura ad entrare in gioco, in discorsi metaletterari che coinvolgono Paul Auster stesso, il ruolo dello scrittore in generale che ha bisogno dello sguardo e della vita degli altri, a cui attingere, a cui sempre cercare, e ci sono giochi e scherzi, che conducono fino a Cervantes, fino al Don Chisciotte meta-letterario pure lui, visto il gioco di narratore specchio che si cela al suo interno.
Sono discorsi a volte troppo alti, sono strade in cui ci si perde e non ci si orienta, in cui non tutto è chiaro, anche se è pieno di fascino.
In tutto questo, New York non è solo uno sfondo, fa parte delle storie, le sue di strade vengono nominate, si fanno indizio, e leggere Auster dopo averle percorse, con chiara in testa la mappa della città, dà una certa soddisfazione.
Quel che è certo, però, è che se davvero tre indizi fanno una prova, tre storie che non sono riuscite a coinvolgermi, ad appassionarmi, a farsi capire del tutto, lasciano in sospeso il giudizio su Auster al prossimo incontro.

2 commenti:

  1. Altro auturone che manca all'appello, ma mi consolo sapendo di avere già Follie di Brooklyn. Commedia alleniana che sembra più leggera, più per me. :)

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    1. L'intenzione di riaffrontarlo c'è, che come primo impatto tra genere e trame, lo sentivo già distante. Mi appunto questo Follie, allora, sembra pure per me :)

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