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4 settembre 2018

Venezia 75 - Vox Lux

Sono stata fra quelli che l'esordio di Brady Corbet l'han patito parecchio.
Lo temevo, quindi, alla sua opera seconda, forse più di quanto dopo i tanti elogi, i premi e gli entusiasmi si dovrebbe temere un'opera seconda.
Prontamente, però, ha deciso di spiazzarci, cambiando completamente storia, genere.
Ci racconta infatti della genesi e della rinascita di una pop star, del suo approcciarsi alla musica per affrontare e dimenticare un'esperienza traumatica come l'essere sopravvissuta a una sparatoria a scuola, del suo finire fagocitata, perdendo ogni innocenza, da questo nuovo mondo luccicante, mentre il mondo vero, attorno a lei, va in fiamme.
Una sterzata notevole, certo, ma certi elementi -purtroppo e per fortuna (dipende dai punti di vista)- rimangono.



Rimane infatti intatta la ricerca di nuovi metodi di racconto, la ricerca quasi ossessiva nel voler stupire, eccedendo, utilizzando una voice over documentaristica (quella, dal tono inquietante, di Willem Dafoe), alzando al massimo una colonna sonora che dovrebbe essere portante (e invece si fa fastidiosa, le canzoni pop di Celeste scritte da Sia sono il frullato di qualunque canzone pop che passa per radio), creando siparietti velocizzati e una fotografia dalla grana e dalle angolazioni fin troppo eccentriche.
Lo stesso per fortuna non si può dire di una sceneggiatura curatissima, con dialoghi importanti, sfoghi e confronti pieni di rabbia e dolore che ben si esprimono.
Diviso in due parti, il film appare però squilibrato, con un inizio che spiazza lo spettatore, e si protrae poi più del necessario, mentre nella rinascita di Celeste, con una Natalie Portman mattatrice, si vorrebbe proseguire, scavare di più visto il salto fatto di ben 17 anni.
E allora, andiamo con gli elogi a lei, a una Portman che si fa irriconoscibile: l'avevamo lasciata posata e algida first lady, infatti, e la ritroviamo strafatta, eccessiva, ingestibile pop star, capace di ballare e cantare, di incantare e farsi odiare. Madre incapace, sorella astiosa, amante indisponente, apoteosi di quelle cantanti viziate che sul palco si trasformano.
Solo la Portman, allora, vale il biglietto, lei, confrontandosi con Jude Law che... chi lo ferma più? e una Stacy Martin che... chi la ferma più? dà vita a uno show unico, fisico e vocale.
Il resto, allora, non può che convincere meno, convince poco ma fa sorridere anche la metafora finale, che sembra sì l'ennesima stoccata di un Corbet che bada più alla forma che alla sostanza, e anche quando la sostanza la sa inserire, non la sa dosare. Promosso, quindi, ma con riserve.

2 commenti:

  1. Miscuglio autoriale e attoriale, questa volta, che poco mi incuriosisce. Sono pronto a ricredermi, anche se la Portman l'ho mal sopportata nella sua comfort zone, come Jackie. Come popstar, proprio non riesco a vedercela.

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    1. Non ci riuscivo nemmeno io, e infatti si trasforma e frastorna non poco. Ma convince più del film in sé.

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