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28 novembre 2018

Corpo Celeste

E' già Ieri -2011-

Marta si è da poco trasferita in un triste paesino della Calabria.
La madre lavora come e quanto può, la sorella maggiore fa la parte del genitore cattivo, lei è chiamata a ricevere la cresima. In un paesino che sembra ruotare tutto attorno alla Chiesa, assistiamo allora alla preparazione di una giornata così importante, con tanto di vescovo in visita, con l'inaugurazione di un nuovo crocefisso.
Marta tutto osserva, tutto vive, con dolore.
Il suo corpo non cambia, non matura.
Invidia la sorella, si paragona alle "star" della TV, trova rifugio in una madre che giustamente la tratta come la sua bambina, mentre registra le ipocrisie, le cattiverie che attorno a quella Chiesa nascono.
Un prete che non è un santo e che elemosina voti politici, una perpetua lasciva che non capisce la timidezza e non difende i più deboli, un paesino dimenticato e abbandonato dove il vero Cristo, il vero credente, forse ancora vive.
Marta tutto vede, tutto prende su di sé, cercando un miracolo.



La paura nei confronti di questo film era quella di trovarmi davanti al solito film profondo, metaforico, povero di mezzi e nomi, esaltato dai critici, mortale per la noia, con una sceneggiatura ridotta all'osso, fatta di scene e momenti, non di una vera e propria storia in sviluppo.
Ammetto che Alice Rohrwacher mi dà questa sensazione a pelle, solo dai titoli, dalle immagini dei suoi film.
E ammetto pure che in parte questo Corpo Celeste, esordio acerbo e "sporco" è così: nel suo voler essere neorealista, nel suo essere piccolo e ricco di metafore e citazioni, nel suo ricordare certo cinema che fu che tutt'ora con me non ingrana.


Ma ci sono ovviamente dei ma.
Ci sono scene che si impongono, c'è un occhio che sa dove trovare la bellezza, il giusto angolo, la giusta luce anche in mezzo alla spazzatura. Anche se lo sfondo non aiuta, se il paese, la casa, il mare in cui si muove Marta, di bellezza sembra non offrirne.
Ma la sua solitudine, la sua crescita, fanno soffrire. Il suo peregrinare con un uomo di fede che fede negli altri, comprensione e amore non ne ha, è metafora nemmeno troppo criptica di un Dio che non c'è, non vuole esserci. O non lo si merita.
E allora di miracoloso c'è anche un finale, semplice e quasi ingenuo, che certi dubbi -per quanto a fatica- li spazza via.

Voto: ☕☕½/5


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