Prendi quel padre speciale di Captain Fantastic, un padre che crede nella libertà, che odia il consumismo sfrenato e la società materialista, che alla scuola istituzionale preferisce l'università della vita.
Ma prendi anche il padre tormentato di Senza Lasciare Traccia, che con quella società ha un debito, che ha un passato a spiegare quel tormento e il suo anestetizzarlo con l'alcool.
Aggiungi una madre che è un po' vittima, un po' carnefice, artista incompresa ma in realtà donna che non sa prendersi le sue responsabilità.
E infine, aggiungi i figli, quattro per la precisione, di età diverse, di diverso rapporto con quei genitori, ma che formano un'alleanza, stanchi dei continui spostamenti, della mancanza di una fissa dimora, di stabilità in generale.
Così hai la famiglia Walls, una famiglia vera, che Jeanette -giornalista del New York Magazine- ha deciso di raccontare in un'autobiografia diventata questo film.
La storia è quella che piace tanto ultimamente al cinema, quella fatta di famiglie anticonvenzionali, di padri dai grandi ideali, di infanzie vissute senza regole e senza reti.
Ma il merito questa volta è di raccontare i lati negativi di questa mancanza di regole, con un padre e una madre completamente inadatti al ruolo di genitori, che attentano alla vita dei loro figli vuoi per insegnar loro una lezione morale, vuoi per cibo che scarseggia (mentre l'alcool sempre abbonda).
Nei flashback che ci mostra com'era l'infanzia di quella che all'apparenza sembra una giornalista di alto profilo, pronta ad un matrimonio e una vita sfarzosa, ci sono tutti i traumi che un'infanzia simile può lasciare, e non si tratta solo di cicatrici causate dal gas di un fornello, ma ferite profonde e con cui sempre fare i conti.
Spiace allora che un film che tutto questo denuncia, decida alla fine per passare dalla parte dei buonisti, di trovare lati positivi in questa infanzia, anche solo per andare avanti.
Spiace che si scada nel melenso, con un finale che si manda giù a fatica per quanto cariatico è.
Spiace soprattutto visto il cast coinvolto, da una Brie Larson che torna al cinema più piccolo che l'aveva fatta conoscere (il regista -Destin Daniel Cretton- è lo stesso di Short Term 12), a un Woody Harrelson sempre in parte (struggente quando ha a che fare da sobrio con le sue figlie) e una Naomi Watts forse troppo giovane per essere madre di Brie, ma comunque convincente.
Tutto resta poi nei parametri del cinema indie classico che scivola via, dal montaggio veloce alla canzone dai buoni sentimenti, con tanto di titoli di coda che ci mostrano la vera famiglia Walls, una famiglia su cui nella realtà dei fatti si sospende ogni giudizio, ma che in questo film non è raccontata nel modo più giusto, di certo non più equilibrato.
Voto: ☕☕/5
Concordo pienamente. E che antipatia Brie Larson, ricordo, anche se il personaggio non ha mica torto...
RispondiEliminaStranamente non mi faceva troppa antipatia, non capivo il rapporto con il fidanzato ma vista l'infanzia vissuta... In ogni caso, poteva andare meglio, soprattutto nel finale.
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