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7 agosto 2019

Burning

È già Ieri -2018-

Il mio difficile rapporto con il cinema orientale ormai mi precede.
Ma se un Cannibale inserisce nella sua classifica di fine anno un film sud-coreano, allora una speranza gliela si deve dare.
Capita ora, complici le vacanze, di trovare quei 148 minuti di tempo per finire in una caotica Paju fatta di appartamenti minuscoli o fattorie fatiscenti. Qui abitano Jong-su e Hae-mi, amici (o nemici) d'infanzia che si ritrovano ora e si attraggono. Ma lei parte per l'Africa, torna al fianco di un misterioso giovane ricco, dall'appartamento ordinato, spazioso, lussuoso, e tutto cambia.
Crescono i sospetti, la gelosia, l'attrazione.
Crescono i dubbi, quando Hae-mi non si fa più sentire, il suo appartamento si fa irriconoscibile, traccia di quel gatto che Jong-su ha sfamato alla cieca, non ce ne sono più.
Quel fuoco, allora, prende un'altra spiegazione. Quegli incendi che sembravano capricci, un altro significato.



Raccontata e riassunta così, la trama di Burning non rende omaggio a quel tempo dilatato e lento tipico di certi film orientali.
Non è un giallo, non è un thriller, è un dramma di un'umanità diversa.
Ma nemmeno troppo.
In cui il mistero e la scomparsa giocano d'anticipo, tra arance immaginate e gatti mai visti.
Entrati in questi tempi, nella presa di coscienza di Jong-su e nel suo stato d'animo che passa dallo sfaticato al timido innamorato, all'ex ferito e infine vendicativo, i 148 minuti di durata che sembravano colossali, non si sentono.


Si sente invece quell'umanità che viene raccontata, quegli spazi che sono una metafora del passato, dell'oggi e del futuro di un paese. E una storia che parte in un modo e che traghetta senza rendersene conto, in un altro.
La penna è quella di Murakami, dal cui racconto è tratto.
I volti non sono noti, tranne un Steven Yeun che torna in patria incarnando alla perfezione un Patrick Bateman orientale.
L'approccio migliore è quello di gustare Burning senza sapere troppo, lasciandosi trasportare tra macchine di lusso e camioncini da rottamare, luci dell'alba e tramonti meravigliosi in questo mondo a parte, ma in fondo nemmeno troppo lontano.

Voto: ☕☕/5


6 commenti:

  1. Il poco che ho capito, mi è piaciuto parecchio.

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    1. Aaha, sì i sub in inglese fanno la loro parte ma quel suo essere strano e sviante gli dà ancora più fascino.

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  2. Stile Terrence Malick insomma...non il miglior auspicio per me...

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    1. Uhm, no, non tirerei fuori Malick come paragone. Qui c'è più sostanza. Più trama, soprattutto. Anche se si prende i suoi tempi e gioca con lo spettatore nel cambio dei generi.

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  3. Se Ford parla bene di un film orientale è la norma. Se ne parlo bene io in effetti è un miracolo. :)

    Come dici è un lavoro il cui notevole minutaggio non si sente. Anzi, regala diverse sorprese e momenti di grande cinema, e fa quasi venire voglia che duri 3 o 4 ore. Quasi, eh. :D

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    1. Non esageriamo! La durata non si fa sentire ma basta e avanza. Grazie ancora per la dritta :)

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