Oggi si parla di un film cinese.
Fermi tutti!
Dove scappate!
E che è sta paura?
Paura di essere contagiati?
O paura di quel cinema orientale che sì, faceva paura anche a me?
Perché in entrambi i casi, in questo caso, sono infondate.
Certo, la Cina che ci mostra Diao Yinan non è certo una Cina invitante, o da cartolina, anzi.
È una Cina sporca, fatta di negoziacci e ristorantini e catapecchie, di case diroccate, di brutti affari, brutti ceffi.
Di mafia e di prostituzione.
Di furti e di vendette.
Siamo in quella Cina di periferia, dove pure la polizia fatica a governare, lì dove pullulano affari per chi ruba moto.
Sono tante le bande in gioco, è vasto il territorio: perché non dividerselo, allora?
Ci si prova, ma no, basta un colpo di testa, uno di pistola, per mettere in discussione l'insperato equilibrio, con la vendetta che viene servita attraverso le lame fredde di un muletto.
Succede così che quella notte diventa l'ultima da uomo libero per Zhou Zenong, lui che per scappare dalla vendetta spara a dei poliziotti, lui su cui finisce una taglia che fa gola a tutti: gli ex compagni, i nemici, la polizia stessa.
Scappa, e cerca rifugio, finché non decide per il sacrificio, un ultimo gesto gentile nei confronti di una moglie e di un figlio che ha abbandonato.
Andranno a loro quei soldi.
Ad aiutarlo, una ragazza del lago -per usare un eufemismo-, una prostituta che guarda al suo guadagno, alla sua sopravvivenza.
Ne nasce una strana amicizia, una strana attrazione, uno strano senso di decidere per cosa rischiare, per cosa no.
Ne esce soprattutto un film pieno di ritmo, di una sua bellezza in mezzo a locali unti, case sporche, persone e vite viscide.
Il merito è tutto della regia di Diao Yinan, che crea giochi d'ombra, di luce che mettono i brividi, dà anche agli scontri più sanguinolenti una loro aurea.
Sembra un Refn quando ancora aveva qualcosa da dire oltre l'estetica.
È in questo mondo a sé, quello di un lago in cui la polizia prova ad infiltrarsi, che decidono di giocare Zhou Zenong e Liu Aiai, tra fughe, salvataggi, parentesi di tranquillità.
È un film in cui a fatica ci si ferma, fatto di inseguimenti e di appostamenti, di altri sguardi che entrano in campo, che spiano da un lato, tengono d'occhio dall'altro.
Fino alla fine, fino ad un finale in cui è più giusto fermarsi, lasciar andare, dando così un senso a tutto.
Voto: ☕☕☕☕/5
Ne ho sentito parlare a Cinematografo un venerdì notte e lo avevano amato tutti. Subito in lista, ché gli asiatici regalano sorprese inattese.
RispondiEliminaIo l'ho visto perché Pontiggia l'aveva segnalato come suo film preferito del 2019. Lo avrei saltato a piè pari,ma che sorpresa!
EliminaNon mi fanno paura quelli giapponesi, figuriamoci quelli cinesi ;)
RispondiEliminaTu che sei più preparato e pronto, vai sul sicuro allora ;)
EliminaA sponsorizzare un film cinese oggi ci va un bel coraggio... :)
RispondiEliminaIl paragone con Refn mi incuriosisce, ma siamo sicuri sicuri però che non sia una mattonata d'autore?
Ricorda più il Refn dei primi tempi, non quello vuoto e solo estetica degli ultimi. Qui c'è la storia, il mondo marcio, la bellezza delle luci e delle ombre. Vedrai!
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