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29 febbraio 2020

Memorie di un Assassino

Andiamo al Cinema

Sì, faccio parte di quelli che per Parasite non hanno gridato al capolavoro.
E mi sento in colpa.
Non perché l'Academy ha sempre ragione e la maggioranza pure, ma perché nella serata in cui l'ho visto la stanchezza ha avuto il suo peso, e ha influenzato la mia attenzione, le mie emozioni che si sono riprese in tempo per quel finale doppiamente amaro.
Con Bong Joon-ho dovevo far pace, lui che a mia sorpresa conosco meglio di altri registi sudcoreani.
Sì, io che il cinema orientale da sempre lo temo, da cui da sempre mi tengo a distanza, avevo già visto buona parte della sua filmografia, dal The Host apocalittico, ai più internazionali Snowpiercer e Okja.
Mancava all'appello giusto questo Memorie di un assassino, datato 2003, che la nostra programmazione ha rispolverato all'indomani dello sbanca-Oscar di Parasite.
E non resta che ringraziarla questa programmazione.
Perché porta a conoscere un giallo che non è propriamente e solamente un giallo, perché mostra un occhio già formato, un linguaggio già capace di conquistare oltre i confini e di parlare di quei confini.



Siamo negli anni '80, siamo nella campagna della Corea del Sud.
Lì, tra campi incolti vengono trovate una dopo l'altra delle donne, nude, legate e imbavagliate.
Uccise.
Opera di un serial killer.
Le indagini partono, ma partono male tra scene contaminate, indizi sommari e indiziati pestati a sangue pur di avere una confessione.
I rinforzi arrivano dall'esterno e come sempre non piacciono.
Mettono in soggezione, preferiscono il silenzio, sanno quello che fanno.
Guardano dall'alto in basso e giudicano i metodi poco ortodossi di un detective e del suo scagnozzo impreparati e poco intelligenti.
Ma le prove scarseggiano, prevenire sembra possibile una volta scoperto un modus operandi, e allora com'è che non si riesce a catturarlo questo serial killer, com'è che la sua identità non si compromette?


Il classico giallo investigativo diventa così un'analisi sociale, diventa il banco di prova per personaggi che cambiano, che la Storia, le indagini stesse modificano.
Con i poveri Cristi comprati con poco, zittiti tra minacce, e un karma davvero crudele.
Per chi come me adora il crime, c'è di che impazzire: fra sospetti e non sospetti, indizi e fuoripista, inseguimenti e brividi scatenati da una musica improvvisa, da un balzo improvviso, sotto la pioggia, nel mezzo di un campo.
Perché la regia è sempre quella di Bong Joon-ho, capace di movimenti di macchina sopraffini, di scelte cromatiche e sonore d'impatto, con il rosso, la pioggia, una canzone malinconica a rincorrersi.
Presi dalle indagini e dal voler capire whodunit, sviati da un'ironia di fondo che non manca, quello studio sociale ha modo di infiltrarsi lentamente, mostrando i limiti della polizia, il coinvolgimento emotivo dei detective arrivando ad un finale aperto, sospeso, beffardo.
Che torna dove tutto è iniziato, dove niente è finito.
Sì, già nel 2003 Bong Joon-ho meritava l'attenzione che giustamente ora ha.

Voto: ☕☕☕☕/5


7 commenti:

  1. Io solo Snowpiercer, che poi non mi piacque neanche tanto, però era indubbio il talento registico. Comunque Okja era già in lista, da poco è entrato The Host, ed ovviamente entrerà questo film ;)

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    1. Sarà un recupero facile ed esaltante, vedrai!

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  2. Io faccio parte di quelli che per Parasite hanno gridato al capolavoro, eppure questo ancora mi manca.
    Il fatto che sia un giallo mi aveva finora frenato, ma visto che dici che non è solamente un giallo la cosa si fa più interessante. ;)

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    1. Se Tarantino non ti aveva convinto al recupero, spero di averlo fatto io!

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  3. Il Seven orientale, a conti fatti.
    Un grandissimo film che già allora aveva rivelato il talento del buon Bong.

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    1. Non avevo pensato al paragone, ma sì, calza a pennello!

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  4. Prima di vedere Parasite mi sono stupita di trovarmi con buona parte della filmografia di Bong vista, e soprattutto apprezzata.
    Questo giallo/non giallo è un signor film, e da fifona non sono mancati i momenti di spavento.

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