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21 ottobre 2020

Il processo ai Chicago 7

 Andiamo al Cinema su Netflix

Caso n. 3510: 
In Central Perk vs Il Processo ai Chicago 7
Presiede il Giudice Costa

Tutti in piedi

L'accusa chiama alla sbarra Aaron Sorkin.

Signor Sorkin, com'è che è così bravo?
Com'è che riesce a trasformare in oro tutto ciò che tocca, che sia la nascita di un social network, della regina delle bische clandestine, il dietro le quinte della Casa Bianca o di una società tecnologica o di una redazione giornalistica, com'è che tutto quello che scrive con il suo stile fatto di tante, tante, tante parole, non stanca mai?
Il ritmo, la forza di queste parole ma anche gli improvvisi silenzi?
Qui il materiale era quello tosto, quello politico, quello giusto per i tempi di oggi.
Qui l'ambientazione era quella che più ha bisogno di ritmo e di parole: un'aula di tribunale dove si combatte non solo per la propria libertà, per i proprio ideali, ma anche contro una certa politica corrotta ed esibizionista, razzista pure.
Qui, lei, signor Sorkin, sguazza a meraviglia.
Dica la verità?
Negli anni di ricerche, nel mescolare realtà e necessaria finzione, si è divertito e ha trovato il modo giusto di raccontare questa storia potente, caratterizzando ancor più i suoi protagonisti. 



Chiedo alla corte di fare un passo indietro.

Di cosa si parla?
Delle proteste alla Convention dei Democratici nel '68, a Chicago, quelle proteste che sono finite nel sangue, che hanno portato vittime e dolori e di cui vengono accusati non la polizia e le forze armate che caricano sulla folla, ma chi quella folla l'ha radunata.
Sette leader (otto in realtà, se si conta anche il capro espiatorio nero, quello che fa parte delle Black Panther). Accusati in modo subdolo di cospirazione pur non conoscendosi fra loro, pur avendo sì protestato insieme ma senza pensare si arrivasse a vedere tutto quel (loro) sangue fra le strade di Chicago.
I protagonisti sono loro, i 7 sotto processo, ma anche l'ottavo a cui viene negata la difesa e la parola, e gli avvocati che li difendono e che contestano un giudice imparziale, e l'accusa che per prima non vorrebbe andare avanti, sentendo la farsa, sentendo l'inconsistenza di questo processo che non riguarda la giustizia, ma la politica.
Lei, signor Sorkin, è accusato nuovamente di perfezione.



Doppiamente, resti pure alla sbarra.
Perché la si deve giudicare non solo per la sua scrittura, ma anche per la regia.
Alla sua seconda prova, mantiene il ritmo delle parole, mescola nuovamente realtà e finzione, con immagini di archivio che si fondono alla ricostruzione.
Un lavoro mica da poco.

Chiamo come testimone dell'accusa Steven Spielberg.

Steven Spielberg?
Sì, perché questo progetto era passato per le sue mani. 
Anzi, era stato pensato dalle sue mani, delegato a Sorkin per la scrittura ma poi la mancanza di fondi, di interesse, le questioni politiche e gli altri impegni hanno rimandato la sua realizzazione. 
Finché l'arrivo di Trump -strano, ma vero, qualcosa di buono ha fatto- non ha accelerato le cose, non ha fatto ripescare il progetto che Sorkin aveva tentato di portare pure a teatro per non vanificare il lavoro fatto e Sorkin stesso si è messo alla regia. Con Spielberg come mentore, come aiutante ed assistente sul set.
Ora, lo immaginate un Chicago 7 diretto da Spielberg? 
C'avrebbe messo meno ritmo e più retorica?
Sarebbe riuscito ad affossare il copione di Sorkin in quei suoi film solidi ma senz'anima sugli eroi americani di oggi? 
Avrebbe trovato posto per il fido Tom Hanks fra gli avvocati difensori?
Fortunatamente, non è andata così.
Grazie signor Spielberg per la sua rinuncia.



Che il cast venga a testimoniare.

Un cast di quelli notevoli e non solo per l'ammontare di budget che ha richiesto.
Un cast che rivela sorprese: le più lucenti, quelle a cui vanno tutti i miei applausi, sono gli hippie Sacha Baron Coen e Jeremy Strong, che in panni irriconoscibili, in ruoli irriconoscibili, danno il loro meglio.
Poi mettiamoci Eddie Redmayne che impantanato con i suoi Animali Fantastici riscatta in un colpo solo l'Oscar vinto nell'ormai lontano 2015 e riprende il filone d'oro da cui sembrava essersi allontanato.
Un plauso a Joseph Gordon-Levitt a cui non si riesce a voler male e che ci mette l'umanità necessaria, all'odiosissimo Frank Langella, al combattivo Yahya Abdul-Mateen II e infine, applausi a scena aperta per quello stropicciato di Mark Rylance, che sembra un John Turturro di The Night Of che incontra il Tenente Colombo. Un mix esplosivo.
Menzione d'onore a Michael Keaton che mette come sempre il suo zampino, come a dire che deve esserci in ogni gran film della stagione d'ora in poi.
Se esistesse un Oscar al cast d'insieme, andrebbe a tutti loro, ora starà all'Academy decidere chi e come far emergere.



🔨🔨🔨 calma, calma, si calmino gli animi fin troppo appassionati.

Chiamo infine la Storia.
Che si riscatta, che torna tristemente attuale, che ancora una volta si mostra in tutta la sua assurdità e nella sua forza.
Si condensano i giorni in tribunale, certo, si esaltano momenti dell'accusa e della difesa e si creano momenti di confronto interni ed esterni che tengono con il fiato sospeso, che siano accaduti così o che Sorkin c'abbia ricamato sopra come solo lui sa fare.
Si prende questa Storia e la si presenta oggi carica di tutto il significato che ancora ha.
A mostrare quanto poco è cambiato, quanto deve cambiare in giorni in cui l'America incendiano proteste e soprusi.
La Storia si ripete, ma Sorkin è qui accusato di voler fare in modo di fermarla. Di mostrarcela nella sua spettacolarizzazione senza bisogno di effetti speciali, ma solo di parole inanellate fra loro a urlare, parlare, protestare e ricordare per noi.

Signor Sorkin, il giudizio è emesso: lei è colpevole di aver realizzato un altro film dannatamente importante!
La seduta è tolta.

Voto: ☕☕☕☕½/5

12 commenti:

  1. Che bel post, mi è piaciuto moltissimo! Complimenti!

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  2. L'ho visto ieri. Purtroppo non mi è piaciuto per niente. Non ho colto il valore emblematico della vicenda, né alcun guizzo nella scrittura. Quel finale melenso e patriottico, poi, mi ha fatto cascare le braccia, per non dire altro...

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    1. Oh, non mi aspettavo una tua bocciatura.
      Scene come quella della preparazione a testimoniare di Redmayne mi hanno fatto applaudire e quel finale patriottico e antipatriottico allo stesso tempo l'ho trovata una coda giusta per un film che tiene sull'attenti per tutta la sua durata.

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  3. Manca poco alla fine, ma per adesso mi sta piacendo parecchio. Concordo con Bara, avercene di film così!

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  4. Credo che Sorkin sia di gran lunga il più grande sceneggiatore vivente: un film di 130 minuti, tutto girato dentro un'aula giudiziaria, che riesce ad appassionarti dall'inizio alla fine. Perfino il finale, retoricissimo eppure emozionante, arriva al cuore. Chapeau.

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    1. Non posso che sottoscrivere, ha un senso del ritmo e delle parole inconfondibile. Ora che è tutto su Prime, non vedo l'ora di trovare il tempo per vedere il suo West Wing.

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  5. Grazie, Sorkin è sempre una certezza e in un'aula di tribunale sguazza a meraviglia. Visti i tempi, film così che ricordano altri tempi molto simili, sono davvero importanti.

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  6. Boh, signora Giudice, a me non ha entusiasmato particolarmente. Sacha Baron Cohen e Jeremy Strong a parte.
    Sì, un buon film legal, ma troppo legal per i miei gusti. Avrei preferito un maggiore spazio ai flashback e meno aula di tribunale.
    Aaron Sorkin mi sembra che abbia fatto ben di meglio anche a livello di dialoghi.
    Se l'avesse girato Spielberg, non credo sarebbe andata troppo diversamente...

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    1. Silenzio in aula!
      Da te mi aspettavo lo stesso entusiasmo.

      Sì, Sorkin ha fatto di meglio ma io c'ho sguazzato benissimo in quell'aula di tribunale e la costruzione a flashback l'ho molto apprezzata. Era da parecchio che un film non mi prendeva così, e lo zampino di Spielberg qui è contenuto. Chissà che attori ci avrebbe piazzato lui.

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