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3 maggio 2021

Il Lunedì Leggo - I Nostri Antenati di Italo Calvino

Calvino e Rodari.
Li ho sempre confusi, li ho sempre odiati.
Colpa delle scuole medie, di quelle letture forzate, di quei professori che ci mettono troppo entusiasmo. Colpa mia, in realtà, che ero troppo poca matura per capire che non sono solo favolette e filastrocche, che c'è dell'altro.
Ma poco importa, ormai, il danno è fatto e quando li sentivo nominare, Calvino e Rodari, li confondevo, facevo una smorfia, dicevo che no, non li leggo.
Finché, un giorno in cui la maturità l'ho raggiunta non solo su carta, mi imbatto in una filastrocca di Rodari e ci trovo dentro tanta intelligenza, che quasi mi commuovo.
Finché, tentata da un titolo poetico, non me lo leggo un Calvino, e ne resto fulminata.
Sì, capisco l'entusiasmo di quel professore, ma forse più che di baroni, di visconti e cavalieri, doveva parlarmi di un viaggiatore, in una notte, d'inverno.
E allora a Calvino voglio offrire un'altra chance, voglio andare a recuperare proprio quei libricini che mi avevano costretto a leggere, quelle tre storie brevi che compongono per Calvino stesso una Trilogia, ambientata in passati remoti e vagamente fantastici.

(Il fastidio per le edizioni diverse non lo supererò mai)

C'ho messo 4 anni a decidermi, ma parto con Il Visconte Dimezzato, con una novella con una metafora bella evidente.
Di un Visconte, Medardo, tornato dalla guerra letteralmente a pezzi, anzi, in un pezzo solo: una metà che è quella maligna, quella che gioca brutti scherzi: senza troppi problemi manda in esilio, manda al patibolo, uccide e semina il terrore nel suo paesello.
Una metà che non si sa come tenere a bada, meglio evitarla, finché, per assurdo, l'altra metà si fa avanti, quella buona, sopravvissuta pure lei alla guerra, e che fa ammenda, si prodiga, aiuta il prossimo.
Il Gramo e Il Buono uniti dall'amore per la pastorella Pamela, non possono che prendere la strada del duello per riunirsi.
Breve, brevissimo, quasi troppo elementare nel suo svolgersi, questo Calvino non è riuscito a scalfire quell'idea che mi ero fatta di lui ai tempi delle medie.
Forse perché proprio ad un lettore più giovane si offre, forse perché risoluzioni, personaggi ed episodi brevi, non approfondiscono troppo.
O forse come sempre la colpa è mia, che mi aspettavo altro.

Per fortuna, diversamente è andata con Cosimo Piovasco di Rondò.
Lui, Barone Rampante, che un giorno mette il muso ai genitori, sale su un albero e decide di non scendere più.
Di non toccare più il suolo, di vivere così, tra rami sospesi, cacciando e arrangiandosi.
Pure qui le disavventure non si contano, i capitoli spesso autoconclusivi sono perfetti per le antologie di un tempo, e li capisco chi li inseriva a forza nel programma.
Ma vuoi per la corposità del racconto, vuoi per le avventure che toccano la storia vera e propria, della Rivoluzione e della sua invasione, di Napoleone e della suo arrivo, qui c'è più approfondimento.
E c'è soprattutto un personaggio bello come un barone che per amore continua a stare sui suoi rami, che si innamora, che viene accettato, capito, perdonato pure dai genitori.
Così, senza volerlo, mi sono ritrovata avvinta, commuovendomi per il ritorno di una Sinforosa tanto bisbetica, rimanendoci male per come frettolosamente se ne riparte, versando pure un paio di lacrime per un finale, un epitaffio, che sono perfetti.

È andata più stancamente, infine, con l'approdo ai tempi di Carlo Magno con Il Cavaliere Inesistente.
Tra lunghe e logoranti guerre, tra gradi di cavalierato e onori da tenere in alto.
Un inizio che arranca, con un cavaliere che c'è e non c'è, sospinto dalla sola forza di volontà, nient'altro.
Temuto per il suo ordine, preso in giro per il suo essere così ligio.
Finché la narratrice non si è rivelata, non è entrata in scena lei, per penitenza costretta a scrivere dal suo convento tutte queste avventure.
Una narratrice affidabile ma non del tutto, che condensa e riassume, corre veloce su battaglie e spostamenti, ma non sui sentimenti.
Così, infrangendo la quarta parete di carta, diventa appassionante il lungo viaggio di questo Agilulfo Emo Bertrandino dei Guldiverni e degli Altri di Corbentraz e Sura, cavaliere di Selimpia Citeriore e Fez, inseguito dalla bella Bradamante, a sua volta inseguita dall'innamorato Rambaldo, con un altro cavaliere, Torrismondo, alla ricerca della verità.
Le loro imprese a tratti lascive, e piene di comicità involontaria, diventano gustose.
Bastava ingranare un po', alla fine.

Bastava arrivare a conoscerlo meglio, leggerlo meglio, Calvino, per capire quanto c'aveva ragione quel professore delle medie. 

4 commenti:

  1. Anche a me fecero leggere Calvino a scuola (il Barone Rampante) ma nonostante le disquisizioni scolastiche mi piacque tanto che poi recuperai il resto della trilogia. Rodari invece mi è sempre stato letto da quando ero piccolissima, quindi per me è proprio parte dell'immaginario e del linguaggio infantile. Ma se lo avessi letto a scuola per forza, chissà.

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    1. Le letture forzate a volte riescono, altre no. Se mi avessero fatto leggere altro di Calvino, e non i soliti spezzoni da antologia, magari sarebbe scattato l'amore.
      Mi sono tenuta Marcovaldo per il prossimo anno, rischiavo l'indigestione dopo questa trilogia.

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  2. "Calvino e Rodari.
    Li ho sempre confusi, li ho sempre odiati.
    Colpa delle scuole medie, di quelle letture forzate, di quei professori che ci mettono troppo entusiasmo."

    Io sono ancora fermo a quel periodo. :)

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    1. Ti facevo un teen da superiori, non da medie.
      Con questa trilogia non è facile innamorarsi di Calvino, ma il viaggiatore d'inverno potrebbe stregare anche te ;)

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