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3 settembre 2021

Venezia 78 - Giorno 2

Un giorno due che ha i film del giorno tre.
Va così questo diario composto nel poco tempo libero, anche se forse farne post singoli vista l'importanza dei film, era un'idea migliore.
È troppo tardi per tornare indietro?



Dune

Atteso come un Messia. 
Rimandato, posticipato e alla fine, eccolo qui. 
Il film impossibile, che era stato un sogno infranto per Jodorowsky e un incubo per Lynch, rivive ora nelle mani esperte di Villeneuve. 
E come sempre, il primo aggettivo che viene alla mente è: solido. 


Solida la regia, la fotografia, con quella sabbia di Arrakis che si sente, con quei palazzi che si stagliano nel loro granitico esserci. 
Solidi gli effetti speciali, che già in Arrival e poi in Blade Runner 2049 avevano quel sapore vero, quella pasta diversa.
Solido il cast, fatto di giovani promesse mantenute che pur rimanendo un passo indietro rispetto alla regia, rispetto al comparto tecnico, sono sicuramente più giusti nei loro ruolo di quelli scelti da Lynch. Chalamet giovane e con pochi muscoli ha carisma, Zendaya resta relegata nei sogni, mentre tra Rebecca Ferguson e Oscar Isaac si imprime il più umano Jason Momoa. 
Solida, infine, la colonna sonora: fatta di quelle ondate sonore, di quei muri di suono, che inevitabilmente fanno metà del film in quanto ad atmosfera.
Questo primo capitolo gestisce bene la sua storia, anche se 155 minuti sembrano tanti e iniziano a pesare per essere solo un inizio. 

La sensazione, nella freddezza di una storia che non riesce ad appassionare come Nuove Promesse o Ultimi Jedi, è che si stia puntando ad un altro, redditizio franchise. 
Ma se lo firma una mano solida come quella di Villeneuve non ci si può lamentare.
Anche se l'esaltazione sta da un'altra parte. 


Spencer

Un altro ritratto biografico per Larraín. 
Che dopo Neruda, dopo Jackie, punta il suo occhio attento su Lady D. 
Una Principessa Triste, più che shockata, prigioniera di una favola moderna. 
Ma Spencer non è un vero è proprio film biografico. 
Si dedica ad appena una vacanza, i tre giorni di ritiro natalizio dei reali. 
Che diventa una prigione per una principessa che già dà scandalo, che se ne vuole andare, che non rispetta le etichette e preoccupa sempre di più la famiglia. 
La sua casa, quella vera, se ne sta di là, oltre le recinzioni in un decadimento quanto mai metaforico. 
E Diana, allora, scappa, si rifugia nelle sue fantasie, parla con il padre e con Anna Bolena. 



Larraín aveva un compito difficile, e lo sapeva. È andato a scegliere un'attrice che era una scommessa, una Stewart che si trasforma, fisicamente e vocalmente, di cui la macchina da presa si innamora. Ma io, nonostante tutta la bravura, ho continuato a vedere la Stewart, non Diana. 
Sarà che il confronto con The Crown si fa inevitabile, e quest'ultimo, grazie ad Emma Corrin, vince. Per intensità, per profondità di racconto. Anche perché nei suoi eccessi di cui lo sguardo dello spettatore non può che godere, a tratti Larraín sembra stia girando uno spot per Chanel.
Di quelli splendida, ma pur sempre di abiti si parla, che hanno un ruolo fondamentale, ovviamente. 
Maschere, costumi, mezzi di ribellione. 

Colpa delle aspettative, colpa di un tempismo sbagliato, colpa di un certo grado di stanchezza che rende Timothy Spalle indigesto nelle sue confessioni, ma da Spencer mi rendo conto che chiedevo di più. 


The Lost Daughter

Maggie Gyllenhaal non poteva chiedere di meglio. 
Un esordio alla regia che adatta un romanzo di Elena Ferrante, un cast che comprende Olivia Colman, Dakota Johnson, Jessie Buckley, Paul Mescal. 
Il tutto, ambientato in un'isola greca che dovrebbe essere un paradiso e invece diventa un limbo, per una donna sola, lì per studiare, che rivive i traumi di un passato che fatica a perdonarsi. 
È una ragazza, così giovane, con la figlia e la famiglia opprimente a scatenare il viaggio nei ricordi, di cui vediamo spezzoni, con cui immaginiamo il peggio. 



Pure lei, Leda, è stata una madre giovane, piena di pressioni che vorrebbe studiare, vorrebbe respirare. 
I flash si fanno via via più importanti, riempiono lo spazio e spiegano quello sguardo rotto, smarrito, di una Colman che odia il genere umano, che si sente minacciata da quella famiglia potente e numerosa. 

Presente e passato si vivono con angoscia, in un thriller dei sentimenti che non ti aspetti, che fatto di piani strettissimi, di tocchi e di gesti, di interpretazioni misurate in una gara femminile anche tra la Buckley e la Johnson. 
Intenso e spiazzante nelle sue riflessioni sull'essere donna e madre, The Lost Daughter resta addosso. 
E non c'è complimento migliore. 

2 commenti:

  1. Questi li voglio vedere tutti e subito, anche se scommetto che Dune, lungo e introduttivo, mi annoierà.

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    1. Le scene d'azione così ben fatte non mi hanno annoiato, e solitamente sono le parti che più soffro. Fosse stato un po' più breve sarei riuscita ad entusiasmarmi di più. Che poi, vedi il caldo di Arrakis ma sei in una sala gelida in cui non sai come coprirti, strana esperienza. ..

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