Dopo i Cazalet, i Browne-Lacey.
Un'altra famiglia per Elizabeth Jane Howard, la stessa Inghilterra divisa in classi e in mentalità, le stesse quotidianità domestiche, i malumori, gli amori, le passioni e le mezze verità, da rivelare.
Non mi ero accorta di quanto mi era mancata la sua scrittura, fino a quando, sull'aereo per Londra, non ho aperto le pagine di questo romanzo ambientato in una Londra ben diversa, ancora in stallo tra genitori dalla mentalità chiusa e giovani pronti ad abbracciare il cambiamento.
I Browne-Lacey sono composti da una madre, che vedova di guerra ha dovuto cavarsela da sola finché la fortuna le ha arriso, una ricca zia in Canada è morta senza eredi lasciando la sua fortuna a lei e ai suoi due figli. Ora che questi, ventenni, potrebbero sentirsi in dovere di accudirla, ha deciso di sposarsi, con un Colonello ligio e borioso, molto poco amabile, che l'ha costretta a comprare una fredda tenuta nel Surrey dove congelare assieme.
Ovvio che i figli non ne vogliano sapere, standosene a Londra, nel loro appartamento in Lincoln Street, dove dare feste, dissipare denaro, cercare fortuna: Oliver, che si sente nato nell'epoca sbagliata e sarebbe il perfetto compagno di bevute di Oscar Wilde, aspetta l'ereditiera giusta che possa mantenerlo, Elizabeth si prende cura di lui, trovando un lavoro e infine anche un amore, quasi per assurdo proprio un ricco gentlemen con case sparse per il Paese, che la inizia e la vizia alla bella vita.
E infine c'è Alice, la figlia del Colonello, fresca di nozze con il giovane, noioso, Leslie, che non ama ma che sposa per non infastidire nessuno. Trasloca dalla famiglia di lui, accetta le sue confessioni, la sua casa, i suoi arredamenti eccessivi e pure un cucciolo chiassoso e invadente, ben diverso dal suo gatto Claude. Accetta in silenzio, Alice, sentendosi sola e infelice.
Una famiglia allargata ma disunita, i Browne-Lacey, che non comunica, divisa in fazioni o con il senso per ognuno di loro di essere un disturbo per l'altro.
Tra aprile e dicembre, viaggiando tra la Costa Azzurra e la Giamaica, piangendo calde lacrime su amori sfortunati, passando tra un lavoretto e l'altro e ammalandosi e peggiorando, Howard getta una patina noir a un romanzo di vita e di vite che non ti aspetti.
Ma gli indizi li semina sapientemente, la mente criminale in azione non è poi così sottile o così brillante, e senza mai arrivare ad annunciare apertamente sospetti e intenzioni, il dubbio aleggia.
Si macinano con facilità pagine e capitoli, con risvolti da romanzetto rosa che hanno però la cura e la poesia di una penna sapiente che intrattiene in leggerezza inquadrando bene i suoi personaggi.
Meno, a questo giro, gli anni che vivono, che sono i primi anni '60 o la fine dei '50, ma che senza qualche fugace riferimento a televisioni o stufe elettriche, sembrano ancora i tempi vittoriani di fanciulle in attesa del principe azzurro e principi azzurri indaffarati a filosofeggiare sulla propria vita, delegando ogni mansione a donne e domestici.
Chiedendo spesso molta pazienza al lettore, tra svolte fin troppo fortunate e ricchezze che sembrano infinite, Howard intrattiene con garbo e garbata è la sua scrittura.
Che nemmeno questa volta, però, rinuncia ad assestare brutti colpi nel finale, come a sottolineare -dopo quell'ultimo capitolo che ha rovinato una saga intera- che i suoi personaggi non possono essere destinati a una vita felice e piena d'amore, assegnandogli un destino crudele che né loro né noi meritavamo.
Viene quasi da chiedersi verso chi sia la sua vendetta, chi l'abbia ferita per evitare il lieto fine che ben si accorderebbe alle vicende delle sue famiglie infelici.
Ma anche questa volta, mi accontento della sua abilità nel catturare il lettore.
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