Sono da sempre le categorie che mi danno più soddisfazione agli Oscar, sarà che il genere documentario per come viene realizzato, per la pazienza che richiede, ha un approccio affine al mio.
Le sorprese non sono mancate nemmeno in questa edizione, più dalle parti dei cortometraggi, va detto, che in quelle di lunghe inchieste non sempre scottanti.
Ma ringrazio l'Academy per le pulci all'orecchio che mi ha dato, in attesa della lunga notte di domani:
Miglior Documentario
Il probabile vincitore potrebbe essere il reportage ad opera di Mstyslav Chernov per Associates Press 20 Days in Mariupol.
Come da titolo, è la testimonianza dell'escalation della guerra nella città ucraina, a partire dai primi bombardamenti compreso quello sull'ospedale pediatrico di cui tanto si è parlato, fino all'invasione con i carri armati e la disperata fuga per mettere in salvo le registrazioni che potevano mettere a tacere tutte le fake news già partite.
Un lavoro giornalistico che funziona più per le immagini angoscianti che per come Chernov ha deciso di commentarle, caricando troppo, disturbando anche un po'.
È in programmazione nei cinema, se si cerca.
Sempre un giornalista è al centro del documentario The Eternal Memory, si tratta di Augusto Góngora testimone oculare e narratore ufficiale dei cambiamenti politici e storici del suo Cile, che però, come una grande beffa, ora sta perdendo la memoria.
Lo seguiamo nel lento declino dell'Alzheimer assistito dalla compagna e poi moglie Paulina Urrutia, che sfrutta il catalogo per immagini della sua vita per riportare a galla i suoi ricordi finché si può, testimoniando anche il loro grande amore.
A tratti, sembra di essere dietro un buco della serratura e quasi ci si imbarazza ad assistere agli attacchi di smarrimento, altri, la lucidità di un uomo che conosce la sua Storia e quella del suo Paese, rende orgogliosi.
È un lavoro difficile da incasellare, quello di Four Daughters o, in originale, Les Filles d'Olfa.
Forse anche per questo è il mio preferito.
Perché usa il mezzo documentario per superare un trauma, per far raccontare e rivivere la perdita di due sorelle alla sua famiglia.
Per chi la storia delle figlie di Olfa non la conosce, è un colpo di scena, per chi invece la vicenda seguita in Tunisia dai media per anni, un modo per approfondirla e sentirla dalle voci delle sopravvissute.
Ma non sono morte le due sorelle mancanti, si sono convertite all'Islam più estremista, si sono unite all'ISIS. La madre, dura e caduta spesso in amori sbagliati, capisce e ripercorre i suoi errori, mentre un'attrice la interpreta e la guida, mentre altre due giovani attrici sono chiamata a interpretare Rahma e Ghofrane in modo da permettere a Eya e Tayssir di parlare con loro, di esorcizzare paure e rivivere ricordi felici.
Una storia che fa male, una ricostruzione che tra ricostruzione e preparazione a questa ricostruzione ha un potere terapeutico.
Si parla di un altro fatto di cronaca ai danni di una giovane donna in To Kill a Tiger.
In un Paese come l'India dove un donna viene stuprata ogni 20 minuti, fa notizia che un padre prenda le difese della figlia, si opponga al matrimonio con uno dei suoi stupratori, e chieda giustizia. Accompagnato in questo difficile percorso da un Centro di ascolto e lotta per la parità dei diritti, assistiamo ai problemi personali e con il villaggio che la questione comporta.
Non è una battaglia perfetta, quel padre ha ancora da imparare e fa specie che diventi lui il protagonista e non la figlia che denuncia e porta avanti la sua verità. Ma come dimostra il verdetto, il suo stare dalle parte di una figlia appena 13enne all'epoca dei fatti, ne fa un esempio da seguire e per questo così pubblicizzato.
A tratti retorico, per noi occidentali, ma coinvolgente nel momento in cui il processo inizia, questo documentario ha la forza di smuovere coscienze è diventato un caso in patria.
Ha già fatto innalzare le denunce per stupro, solitamente passati sotto silenzio.
Arriva domani su Netflix.
Per finire, la storia della popstar ugandese Bobi Wine, rapper del ghetto, che mette il suo successo a favore della politica, chiedendo a gran voce elezioni democratiche, la fine della corruzione e rischiando la sua vita e quella dei suoi sostenitori in proteste, arresti e giorni d'ospedale.
Una storia che assomiglia molto a quella di Alexei Navalny, ma si spera con un epilogo meno tragico anche se la sua lotta per destituire il Presidente dittatore Yoweri Museveni dai suoi 37 anni di potere, continua.
È su Disney+.
Miglior Cortometraggio Documentario
The Last Repair Shop è di gran lunga il cortometraggio ma anche il documentario che mi ha emozionato di più. Si parte da degli strumenti da riparare, dagli studenti che li posseggono e il significato che per loro , alunni di una scuola pubblica, hanno. E si passa poi a chi glieli ripara, in un laboratorio che accoglie storie incredibili di successo e di riscatto, di accettazione di sé e di voler ridare agli altri quanto il potere salvifico della musica ha concesso loro.
Si finisce commossi, in un concerto di gruppo bellissimo.
Lo si vede QUI
In America come altrove, uno dei grandi paradossi è quello di cercare di trovare un lavoro senza nessuno che voglia investire su di te. Come emergere, come crearsi un futuro, se le banche nemmeno ci sono nei quartieri dove la popolazione è prevalentemente nera? In un ghetto che come in molte grandi città è stato separato dal centro con una superstrada, oltre cui gli istituti bancari non aprono?
Arlo Washington ha deciso di fare lui da banca, partendo dal piccolo, dando fiducia a chi chiede un aiuto. Partito con una scuola di parrucchieri ha capito l'importanza della formazione e soprattutto quella dei piccoli prestiti per poter partire. Assieme a lezioni di economia, ha aiutato un'intera comunità a trovare lavoro, con un tasso di estinzione dei debiti altissimo, di soddisfazione personale ancor di più.
The Barber of Little Rock testimonia una piccola storia che però il mondo lo cambia davvero, a cui si perdona una certa retorica e la ricerca della lacrima-facile.
Lo si vede QUI
La censura si pensa di trovarla nei paesi sotto dittatura, e invece la si trova anche in quella Terra delle Libertà che è l'America.
Sempre più libri vengono censurati, bannati o eliminati dalle biblioteche scolastiche. La loro colpa? Parlare di argomenti LGBTQ+, raccontare storie di valorizzazione femminile e quelle della cultura nera.
Visto che tanto si parla dei movimenti pro e contro, The ABCs of Book Banning va ad intervistare i diretti interessati: bambini e ragazzi, lettori accaniti, che non capiscono il senso di questi divieti.
Semplice e efficace come un'inchiesta da Instagram, lo si vede su Paramount+
Più che un documentario, Nǎi Nai & Wài Pó è un diario di un nipote che ammira le sue due nonne. Vivono insieme, si sostengono nell'anzianità, non si danno per vinte.
E con la sua presenza, ballano, cantano, recitano e si travestono.
C'è della dolcezza, ovviamente, ma tutto è molto famigliare.
Lo si vede su Disney+
È un diario di bordo anche Island in Between, che racconta attraverso gli occhi di chi ci ha vissuto e di chi ci è tornato la particolarità dell'Isola Kinmen, a un passo dalla Cina ma allo stesso tempo territorio taiwanese. Realizzazione molto casereccia, risultato informativo e poco più.
Lo si vede QUI
Vincerà ovviamente il documentario ucraino, specchio del Pensiero Unico sull'argomento (da parte degli americani, poi, lasciamo stare!). Non sarò mai pronto per vedere tanta ipocrisia in uno schermo cinematografico...
RispondiEliminaUn documentario in cui parlano le immagini, l'assedio e la disperazione. Purtroppo viene rovinato da un commento molto invasivo e anche retorico di cui non c'era bisogno. Ma come prevedibile, ha vinto.
EliminaDiciamo che sono categorie in cui non so mai fare il tifo, per me conta già solo le nomination e la luce che riescono a prendere piccoli progetti che difficilmente cercherei/guarderei.