Andiamo al Cinema su Mubi
Viene da dare la colpa o il merito, alla pandemia.
Ma molti registi si sono ritrovati loro malgrado a fare i conti con la loro storia, e a scriverla, finalmente, quella storia che aspettava da tanto di essere raccontata.
Personale, dolorosa, non facile.
Evitata e rimandata e alla fine, eccola qui.
Guardare indietro per andare avanti, viene da dire.
Lo ha fatto Sorrentino, lo hanno fatto Linklater, Paul Thomas Anderson e Branagh, e giusto lo scorso anno lo ha fatto anche Christophe Honoré.
Anche la sua era una storia che aspettava da tanto, da sempre, di essere raccontata.
La storia della morte del padre, improvvisa, e di come lui, adolescente confuso, agitato, ha reagito.
Tra rabbia e incredulità, scappando a Parigi dal fratello, sperimentando la propria sessualità e infine dovendo fare i conti con una depressione problematica che aveva bisogno di cure.
Una storia non facile, da raccontare e da mostrare, dove non edulcora, non nasconde scelte e libertà del proprio corpo, mentre si cerca di stare a galla.
Honoré dopo oltre 300 provini, ha affidato il ruolo di Lucas, il giovane protagonista, a Paul Kircher.
Una vita in collegio senza troppi sbalzi, una omosessualità accettata e già dichiarata, un amore passionale ma non troppo coinvolgente, e infine quell'incidente.
Che cambia tutto, che porta via tutto.
E un lutto che una madre deve gestire, che cerca di organizzare per quei figli troppo grandi o ancora troppo piccoli, mentre lei stessa deve raccogliere i pezzi.
Juliette Binoche ancor più bella quando naturale, quando ferita, sfatta e piangente, è il collante di una famiglia che non sa più come stare insieme.
Si mette da parte lei con il suo dolore per lasciar respirare due fratelli che forse finalmente possono ritrovarsi.
Non sarà facile, se di mezzo ci sono impegni più importanti da affrontare che il dolore, una carriera rincorsa più della tranquillità dell'altro.
Ma piccoli attimi di unione, piccoli scatti di felicità, si possono trovare.
Anche se non bastano.
Perché in fondo, il lutto è una cosa personale, è un dolore che va addomesticato da soli.
Non è stata una visione facile, questo Winter Boy.
Tanti i tratti comuni, le esperienze dolorose che nei giorni di lutto, di famiglie improvvisamente riunite, si devono affrontare.
Capisco com'è che Pensieri Cannibali lo ha messo nella sua classifica di fine anno e quindi come pulce nel mio orecchio.
Ma forse una parte di me ha alzato delle barriere morali e non è riuscita ad entrare in questa elaborazione del lutto molto simile, che troppe cose risvegliava pur avendole affrontate in modo diametralmente opposto.
Ma tolta la corazza personale, si tratta di un film personale e vivo, audace nel mettere a nudo cicatrici e macchie, ad affrontare quella storia che da sempre se ne sta lì.
Il paragone con Sorrentino è quasi inevitabile, e anche se il regista napoletano è vicino alla sensibilità francese, lo scarto fra le due è notevole.
Più fisica, meno poetica, per assurdo al contrario.
Non so com'è che in italiano il semplice Il Liceale è stato "tradotto" in Winter Boy, ma questo colpo di coda dell'inverno (espressione preferita a livello meteorologico) mi ha dato lo spunto per recuperarlo.
Per farmi del male in questa mezza stagione impazzita, in cui un meteoropatico non sa come sentirsi.
Voto: ☕☕☕/5
Le vie dei titolisti italiani sono infinite. C'è comunque da dargli il merito di avere una bella fantasia. Come me quando faccio le mie classifiche di fine anno :)
RispondiEliminaNon un film perfetto, ma che mostra un buon potenziale in prospettiva futura, specie il protagonista
Dalla tua classifica non si capiva nemmeno di cosa parlasse, mi sono fidata e anche a scatola chiusa, questo coming of age (come si dirà in francese?) ha funzionato.
Elimina