Andiamo al Cinema
5 settembre 1972, Monaco
Nel pieno delle Olimpiadi, e proprio all'interno del Villaggio Olimpico, fa irruzione un gruppo di terroristi che prendono 10 tra atleti e allenatori della squadra israeliana come ostaggi.
La vicenda, drammatica nel suo svolgersi nel mezzo di Giochi che promuovono la pace e ancor più tragica per il finale e le conseguenze mondiali che avrà l'operazione di liberazione, è già stata raccontata in TV e al cinema, tra documentari e il mastodontico Munich di Steven Spielberg.
Oggi, viene da chiedersi com'è che in una situazione politica e civile scossa ancora e in modo molto più divisivo dalla guerra israelo-palestinese, si debba puntare di nuovo i riflettori su questi fatti.
Non è un caso se alla Mostra di Venezia il film è stato presentato quasi in sordina, nei primi giorni e in orari poco compatibili con le altre proiezioni in corso né che a Toronto sia stato rifiutato, si dice proprio per le temute proteste.
Ma qui si guarda il film, e se il film lo si guarda con attenzione, il fuoco di Tim Fehlbaum non è puntare il dito o schierarsi, ma sono i giornalisti.
È la troupe sportiva dell'ABC, a Monaco per raccontare le Olimpiadi, commentare gare e intervistare atleti, che si ritrova al centro della Storia, a chiedere satelliti e slot, a cercare con inventiva di raccontarla ancor più da vicino la Storia in atto che per una produzione sportiva ha poco a che fare con lo sport.
Il lavoro di ricerca diventa quindi meticoloso e certosino, con i servizi di repertorio e la diretta portata avanti da Jim McKay a esserci mostrata mentre rimaniamo nel dietro le quinte, seguendo registi e operatori, traduttrici alle prime armi e scafati produttori con il fiuto ma anche con l'asticella morale non sempre in bolla.
Nelle ore di diretta in cui irrompe la notizia ma anche la polizia, in cui le telecamere sembrano aiutare quei terroristi e in cui le conferme non sempre vengono attese, non ci si mette sulle barricate, ci si fa osservatori e se proprio vengono nominati dei colpevoli, stanno nell'inefficienza e il timore tedesco e la fame di quei produttori televisivi. Cercando di spiegarne motivazioni e paure.
Quello che oggi poteva essere un pretesto per aizzare chi urla senza conoscere, diventa invece una lezione di giornalismo e un monito ai giornalisti affamati di scoop e notizie, dimenticando il fattore umano che dovrebbe guidarli.
Tra un Peter Sarsgaard in ottima forma e un John Magaro avviato a un'ottima carriera, il faro morale è rappresentato dalla giovane Leonie Benesch, già vista in La sala Professori e che ha quel volto capace di bucare lo schermo e rimanerci grazie a un paio di battute memorabili.
Non stupisce allora che l'Academy abbia nominato la sceneggiatura originale, chiamata a ritagliarsi il suo spazio in mezzo alla diretta del giornalista McKay e ai fatti reali con le sue tempistiche.
Un lavoro di documentazione e interviste e immaginazione meticoloso.
Tesa e non priva di stoccate, è proprio la sceneggiatura a fare la differenza anche se il buon Aaron Sorkin con The Newsroom aveva già anticipato e smosso e mostrato il duro lavoro di una troupe televisiva nei momenti di tensione.
Semplice ma non per questo meno importante, non così originale ma decisamente preciso, asciutto pur denso di lezioni, September 5 riuscirà a farsi ricordare come esperimento e per il suo risultato in un'annata difficile.
Voto: ☕☕☕/5
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