Leggere e non troppe impegnate, con personaggi facili da odiare o da invidiare, perfette per staccare il cervello.
Insomma: sono le serie guilty pleasure, quelle che un po' ci si vergogna a iniziare -lontane dai propri gusti come sono- o a continuare -stanche nelle loro formule come sono.
Ma che alla fine, fanno sempre parlare di sé:
The White Lotus - Stagione 3
Cambia la location e cambia il cast, ma non si cambia la formula.
Mike White ha capito come fare soldi sulla pelle dei ricchi di cui si prende gioco, e per la terza volta ci propone un misto ben condito di personalità facili da odiare, su cui spettegolare per settimane, e con un mistero annunciato a inizio racconto a tenere con il fiato sospeso.
Siamo in Thailandia, questa volta, in un resort di lusso molto zen e detox, dove si rifugiano un trio di amiche che poco si sopporta, una famiglia con delle dinamiche piuttosto tossiche, una coppia di diverse età e diverse visioni sulla vita e infine Belinda, la massaggiatrice illusa da Tanya nella prima stagione che sbarca per un anno di praticantato.
Un filo conduttore, insomma, continua ad esserci, ed è quello di Tanya, personaggio uscito di scena in malo modo e forse troppo presto, che qui viene sostituito dalla madre sotto psicofarmaci di Parker Posey e le sue uscite brillanti pur essendo gran poco intelligenti.
Poi ci sono i membri del resort su cui puntare qua e là lo sguardo, tra due innamorati di diversa stoffa, un criminale va da sé russo, e un direttore poco incisivo nelle sue insicurezze, soprattutto se paragonato ai suoi predecessori.
A condire, come sempre, un cast di star e starlette in caduta o in ascesa che trovano in questa stagione il loro momento d'oro visto quanto se ne parla e quanto se ne parlerà facendo sempre il confronto con quanto visto alle Hawaii o in Sicilia.
Qualche nome con commento: l'allucinato Walton Goggins, la buffa Aimee Lou Wood, la bella Michelle Monagan, l'intensa Carrie Coon, le faccette Leslie Bibbs e Sam Rockwell, il divertito Jason Isaacs, i nepobaby perfetti per i loro ruoli Patrick Schwarzenegger e Sam Nivola,
Il risultato, allora, com'è?
Deludente, o meglio, piuttosto noioso, con episodi che girano a vuoto cercando il meme, la citazione, l'espressione da far più girare per l'internet, con situazioni via via esagerate per creare scalpore e il lusso più sfrenato spiattellato in faccia a chi quel lusso lo desidera dai profili social delle influencer.
Siamo in una serie TV, però, e la sceneggiature non sembra rispettare nemmeno per un istante il suo pubblico, dandogli in pasto evoluzioni ben sottolineate, sottolineando fatti in continuazione e pure aiutando la memoria (non ti ricordi quel frutto tossico del primo episodio? Niente paura, faccio comparire un personaggio a ricordartelo, perché fare affidamento su di te?), insomma, una deriva piuttosto preoccupante di come si scrive oggi.
La formula è collaudata e si ripete, il successo scontato ormai, ma delude sia per l'aumento di episodi che non consiste nell'aumento dell'approfondimento di dinamiche, situazioni e ambienti, né in un pathos finale che lascia quel senso di delusione misto a senso di colpa quando ci si aspettava una carneficina.
Se Mike White la sua formula la sa ripetere e sa trovare successo, ben venga, ma anche come guilty pleasure di cui godere con il contagocce per qualche settimana, stanca in fretta.
Mi aveva stancata fin dalla prima stagione, dovrei iniziare a darmi retta.
Voto: ☕☕½/5
Apple Cider Vinegar
Niente mi toglierà dalla testa che se si seguono le influencer è per vederle un giorno fallire.
Con la loro vita perfetta fatta di privilegi e le loro lezioni di vita dall'alto di nessuna preparazione, il sottile gusto della disgrazia in agguato mi sembra la chiave del loro successo.
Troppo cinica?
Sarà, ma è il sentimento che porta con sé la visione di questa serie Netflix che non contenta di aver dedicato un documentario sul caso di Belle Gibson, ora ci fa una serie.
Senza pagarle i diritti, ché il caso Anna Delvey ha già fatto discutere.
Chi é Belle Gibson?
Una sedicente influncer ma soprattutto una sedicente malata di cancro, che vende la sua vita sana e le sue disgrazie a chi la segue, sfruttando la strada che la collega Milla Blake, malata di cancro a sua volta e che cerca di curarsi con medicina molto alternative, aveva aperto prima di lei, ma con meno fiuto per gli affari.
Se Belle è una personalità reale, Milla si basa su Jessica Ainscough, entrambe sono state due guru in Australia e in America, toccando vette decisamene pericolose per chi decide di non affidarsi alla medicina tradizionale.
Con una sola differenza: Belle un cancro non ce l'ha.
E non l'ha mai avuto.
La conta delle sue bugie, della sua faccia tosta, dei tanti che riesce a fregare e di come riesce a farla franca, è il motore di una miniserie che porta inevitabilmente ad innalzare l'asticella dell'odio.
Il merito è di una Kaitlyn Dever come sempre perfetta.
Se la miniserie l'ho iniziata è per la fiducia che dà un'attrice che anche quando osa fuori dalla sua comfort zone offre prove perfette. Con qualche sguardo in camera, con con qualche faccetta e un accento non facile da sostenere, risulta così facile da odiare.
In soli 6 si ricostruisce una carriera basata su bugie e un'investigazione giornalistica che tocca il cuore di chi con un malato di cancro deve vivere, terza storia presente che aiuta una struttura a flashback.
Cruda e per questo ancora più cattiva, la miniserie funziona nonostante un titolo poco accattivante che si spiega solo sul finale, con un finale che, beh, evita pure le frasette di circostanza poco in linea con lo stile scelto.
Una scelta decisamente vincente, questa volta Netflix sembra sapere che tasti premere e preferisce il pop, la freschezza, il cinismo al buonismo strappalacrime nonostante un tema ostico come il cancro e le facili truffe a chi soffre.
Voto: ☕☕☕/5
Bad Sisters - Stagione 2
C'era davvero bisogno di questa seconda stagione?
Francamente, no.
Ma il successo della prima, l'affetto che si era creato per le sorelle Garvey ha portato Sharon Horgan a pensare a una continuazione della loro storia e viene da dire purtroppo.
Perché sì, le sorelle sono sempre loro, con i loro caratteri particolari portati all'eccesso, con le urla che non si contano, i pasticci ancor più e più che essere divertente, ai miei occhi infastidiscono.
Ma è quello che più è piaciuto al pubblico che qui le ritrova ancora più urlanti, ancora più esagerate, ancora più caratterizzate in loro stesse.
Il fatto è che si deve trovare un altro mistero e un'altra scomparsa e si punta il dito contro la più fragile del quintetto, che non si meritava certo una fine così.
Una scelta tra il forzato e il poco logico ma che permette allo schema di ripetersi, con flashback chiarificatori, un nuovo personaggio da odiare con facilità (Fiona Shaw) e continue situazioni al limite da affrontare.
Le sorelle Garvey funzionano meglio quando sono chiamate a festeggiare o a ricordare, quando non sono vittime dei loro stessi caratteri difficili e dei piani che finiscono male a favore di risate facili per gli spettatori.
Con un finale frettoloso e scelte di vita molto discutibili, spero ci si fermi qui.
Con le disgrazie, con la serie.
Voto: ☕☕½/5
Storia della mia Famiglia
Guitly Pleasure?
Non proprio, ma non essendo avvezza alle serie TV italiane, piazziamolo qui questo dramma Netflix.
Un dramma di qualità, dove per fortuna non mancano i momenti leggeri.
E pensare che si parte dalla morte di un padre che affida i suoi figli alla nonna, allo zio e agli amici di sempre, svelandoci poco a poco che n'è stato della madre di quei figli.
Ogni episodio corrisponde all'approfondimento di un personaggio, e alla sua capacità di vivere e cambiare e migliorare nell'abbracciare questa responsabilità e nell'elaborare un lutto così difficile.
Si è scomodato This is us, vuoi per il lutto, vuoi per la famiglia, vuoi per i flashback a scoprire, ma in realtà Storia della mia famiglia fa serie TV a sé, dove si urla parecchio ma ci si aggrappa anche a una realtà non certo edulcorata e a una Roma familiare non certo da cartolina.
In una chiave a suo modo nostalgica e con canzoni finalmente diverse nella colonna sonora come nel vestiario dei protagonisti, a cercare di elevarsi dagli standard delle fiction nostrane e abbracciare un pubblico anche internazionale grazie a Netflix.
Si fa centro, quindi, grazie ad attori capaci e a un regista non da poco come Claudio Cupellini.
L'unico problema è un finale decisamente frettoloso che giustifico solo per l'apertura che lascia a una seconda stagione.
La conferma, per fortuna, c'è.
Voto: ☕☕☕/5
Grazie, mi hai ricordato che devo ancora vedere la terza del loto bianco, sempre preziosissima ;-) Cheers
RispondiEliminaGioiellino Storia della mia famiglia. Scommetto che lo opzioneranno anche per remake vari ed eventuali.
RispondiEliminaThe White Lotus peggio della prima stagione, meglio della seconda.
White Lotus è arrivato alla sua stagione peggiore, però dal quinto episodio in poi ha un crescendo niente male che in parte riscatta il resto.
RispondiEliminaApple Cider Vinegar e Storia della mia famiglia un po' discontinue, ma regalano diversi momenti notevoli.
La seconda stagione di Bad Sisters è del tutto inutile, però alle sorelle irlandesi urlanti manco fossero italiane continuo a voler sempre un gran bene :D